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MARCO LAZZARI?        

: Univ. di Bergamo > Dipartimento di Scienze della persona > Marco Lazzari > La comunicazione degli adolescenti in Rete

La comunicazione degli adolescenti in Rete tra opportunità, rischi consapevolezza e fragilità

di Marco Lazzari

Introduzione

In questo capitolo vogliamo condensare alcune delle osservazioni che il gruppo di lavoro "Questionario" dell'Osservatorio OSCARV@bg ha condotto in relazione ai temi e alle parole chiave proprie della seconda analisi dell'Osservatorio, così come discusse e individuate nella lunga fase preparatoria con gli altri gruppi di lavoro e nelle svariate riunioni per la condivisione e la messa a fuoco dei risultati intermedi che emergevano dai vari filoni della ricerca.

Poiché molto già si è detto in queste pagine a partire dai dati dei questionari, nei capitoli di Ponzoni e di Soli, e ancora se ne dirà nel successivo capitolo di De Fiori e Lazzari incentrato sui dati del questionario delle scuole medie, qui cercheremo di mettere a fuoco alcuni dei luoghi critici del panorama che si è andato disegnando nella nostra indagine. Lo faremo con un occhio sul questionario del 2009, per marcare le analogie e le differenze, un'attenzione alle indagini ancillari che abbiamo svolto per supportare il progetto e l'interpretazione del questionario e organizzando il discorso intorno ad alcune parole chiave, individuate sulla base degli obiettivi del lavoro o emerse dall'analisi.

Cominceremo con una riflessione sull'amicizia nei social networks.

Amicizia

L'amicizia è un tema trattato in vari capitoli, ma vale la pena di tornarci, perché costituisce uno snodo delicato nella relazione fra generazioni, per il fatto che il mondo adulto ancora stenta a comprendere il significato della relazione di contatto in Facebook, tratto in inganno dal termine amicizia usato per identificarla, differentemente da quanto avviene in altri servizi di reti sociali (per esempio, in LinkedIn abbiamo più banalmente i contatti e in Twitter i seguaci).

Dai numeri raccolti è evidente che amico in Facebook e amico nel mondo fisico sono due concetti distinti e i ragazzi ne hanno piena consapevolezza: mentre in Facebook quasi la metà dei ragazzi intervistati dichiara di avere più di 500 amici (da 501 a 100 il 30%, oltre 1000 il 17,1%), soltanto il 34,7% ritiene di averne più di 30 nella vita offline. Da notare che si tratta di numeri decisamente più alti di quelli dichiarati in una piccola indagine di riscontro che abbiamo condotto contemporaneamente con studenti di vari corsi di laurea umanistici dell'Università di Bergamo (N = 240): nel caso degli universitari abbiamo rilevato un numero medio di amici (verificato con precisione in laboratorio prima di rispondere) pari a 404 (σ = 268), con solo il 25% degli studenti che hanno dichiarato più di 500 amici (età media = 20,3 anni; σ = 2,9). Evidentemente l'uso di Facebook è diverso anche fra coorti così ravvicinate.

Gli adulti sovente esprimono incredulità, diffidenza, disincanto e disappunto rispetto al legame di amicizia di Facebook: non è possibile avere più di 1000 amici, dunque non sono amici e allora nel migliore dei casi si perde tempo, se addirittura non ci si espone al rischio della connessione con malintenzionati.

I ragazzi, pur nell'ingenuità talora pericolosa del loro approccio all'amicizia online, hanno in realtà ben chiaro almeno questo argomento: per loro il termine amico assume in Rete una connotazione diversa da quella che ha nel mondo fisico. Dietro all'amico online può esserci il vero amico di tutta la vita, ma può anche esserci un perfetto sconosciuto. Diceva Aristotele nell'Etica Nicomachea che "la volontà di amicizia sorge rapidamente, ma non l'amicizia": nel mondo delle reti l'amicizia scatta in fretta, il tempo di una richiesta e un'accettazione; e si propaga con il meccanismo degli amici degli amici. Altra cosa, naturalmente, sarà costruire amicizie durature a partire dai pochi clic iniziali; e d'altra parte le amicizie solide del mondo offline non hanno in genere natali più nobili di quelle sorte online: una recente ricerca empirica (Back, Schmukle & Egloff, 2008) condotta su un gruppo di matricole universitarie, monitorate dal loro primo incontro per tutto il primo anno di studi, mostra quanto i legami di amicizia fra persone siano fortemente influenzati dal caso. La ricerca evidenzia come: le probabilità di instaurarsi di rapporti di amicizia, in un caso come quello studiato, siano significativamente determinate dal posto (attribuito a caso) occupato nell'aula il primo giorno di lezione.

È pur vero che le amicizie online espongono a rischi, dei quali spesso i ragazzi non sono consapevoli: un recentissimo studio (Akcora, Carminati & Ferrari, 2012) spiega quanto la consuetudine a divenire amici degli amici degli amici possa esporre il nostro privato alla vista di estranei (gli amici degli amici degli amici degli amici), che in una dinamica offline sarebbero invece ben distanti.

Eppure gli adolescenti da noi intervistati sfidano questi rischi, più o meno consapevolmente, sfruttando l'opportunità di costruirsi reti sempre più ampie di contatti, con l'aspettativa esplicita o implicita di trovare amici veri, nuovi amori, qualche utilità. Tra il serio e il faceto, nelle risposte aperte ci dicono "conosco le fighe" o "accetto solo bei maschioni" ; nei focus group al Patronato San Vincenzo ci rivelano che tirando tante frecce qualche bersaglio si colpirà ; così come i ragazzi di famiglie immigrate ci fanno capire che i contatti servono per radicarsi in Italia, come mezzo per sentirsi inclusi nelle strutture comunicative e informative e dunque aspirare alla cittadinanza politica e culturale (Lash, 1999), ma anche per mantenere radici altrove (Lazzari, 2011, 2012a), per conservare porzioni preziose del proprio capitale sociale (Mazzoni & Gaffuri, 2009) - e addirittura, come ci è capitato di sentire nei focus group preparatori, per cominciare a costruire reti di relazioni nel Paese nel quale si sono preiscritti all'università.

Sempre l'Etica Nicomachea ci dice che "l'amicizia è un fine in sé: gli amici si riconoscono vicendevolmente come bene e non come mezzo per giungere ad altro". Al contrario, numerose ricerche e riflessioni sostengono il valore dei legami deboli che si instaurano nei social networks come preziosi strumenti di formazione del capitale sociale (Ellison, Steinfield, & Lampe 2007; Asai & Kavathatzopoulos, 2012); ed è ben noto che reti di connessioni lasche, quantunque incapaci di fornire supporto emozionale, possono essere più fruttuose di quelle di legami forti, per esempio nel caso di ricerche di posti di lavoro (Granovetter, 1983). Gli stessi gestori di servizi di social networking spesso insistono appunto sul valore potenziale e prospettico delle amicizie opportunistiche, quali quelle che si possono sviluppare in Naymz o LinkedIn (Lazzari, 2010).

Va però notato che i nostri dati ci indicano che con ogni probabilità i ragazzi, esperita una prima fase esplorativa della costruzione della propria rete sociale, si ritraggono assumendo comportamenti ispirati a prudenza. Come mostrato in tabella 1, la percentuale dei ragazzi che dichiarano di non chiedere più l'amicizia a sconosciuti in Facebook è circa quadrupla di quella di quanti hanno invece di recente cominciato a chiederla; e la percentuale di chi non accetta più richieste di amicizia da sconosciuti è più che tripla di quella di quanti hanno invece cominciato a farlo di recente.

Non chiedo più l'amicizia a sconosciuti25,2%
Ora chiedo l'amicizia anche a sconosciuti6,4%
Non accetto più richieste di amicizia da sconosciuti34,1%
Ora accetto richieste di amicizia anche da sconosciuti9,7%

Tabella 1 - Cambiamenti dell'atteggiamento rispetto a Facebook

Coerente con questi dati ci appare anche il senso generale percepito dagli studenti intervistati rispetto al proprio atteggiamento nei confronti di Facebook: mentre il 37,8% asserisce di dedicargli più tempo, ben il 46,1% dichiara di dedicarne meno. Si tratta di stime da prendere con cautela, in primo luogo perché la domanda in questo caso era (volutamente) piuttosto generica e potrebbe (e in realtà intendeva) misurare un atteggiamento, più che un comportamento; e in secondo luogo perché si trattava di una delle domande conclusive del questionario, alla quale probabilmente qualche studente sarà arrivato stanco .

Reale / virtuale

La presunta dicotomia reale / virtuale genera sovente fraintendimenti. Quando parliamo di spazi reali e virtuali e di comunicazione tra reale e virtuale, non intendiamo in nessun modo sostenere un primato di qualsivoglia tipo della comunicazione nel mondo fisico rispetto a quella in rete. Né i nostri ragazzi hanno questa idea - salvo chiaramente preferire il rinvio all'incontro in presenza, appena possibile. Lo abbiamo visto nei capitoli dedicati a focus group e interviste, ce lo spiega Stefano Tomelleri nel suo intervento, dove dichiara "obsoleta e inadeguata" la distinzione tra reale e virtuale.

Quando usiamo il termine virtuale, non intendiamo quindi riferirci ad alcunché di non reale o meno reale, ma semplicemente usiamo un termine internazionalmente affermato per identificare i canali di comunicazione via rete e i comportamenti offline.

L'evoluzione delle tecnologie a disposizione del grande pubblico rende oltretutto sempre più difficile tener separati i due momenti. Una delle principali evoluzioni dalla prima indagine del 2009 alla seconda del 2012 sta proprio nella diffusione dei dispositivi mobili, che fanno sì che il virtuale segua l'utente nel reale: se fino a un paio d'anni fa era normale pensare al momento della comunicazione virtuale legato all'uso del PC e dei suoi relativi spazi, ora è normale portarsi appresso i dispositivi di comunicazione virtuale in ogni luogo - e con uno smartphone e un'applicazione come WhatsApp si è sempre in collegamento con la propria rete di contatti.

Ne abbiamo un palese riscontro nei dati di tabella 3, che mostrano la frequenza d'uso di Internet su cellulare fra i ragazzi: del campione: ormai più di un terzo di loro accede a Internet tramite il telefono tutti i giorni :

Mai31,8%
Ogni tanto18,0%
Più volte alla settimana14,5%
Tutti i giorni35,7%

Tabella 2 - Frequenza d'uso del cellulare per navigare in Internet

È impressionante notare, confrontando i dati riportati sopra con quelli di tabella 3, come l'uso quotidiano del cellulare per la connessione a Internet abbia ormai superato quello per le telefonate.

Mai2,6%
Ogni tanto30,2%
Più volte alla settimana35,2%
Tutti i giorni32,0%

Tabella 3 - Frequenza d'uso del cellulare per fare telefonate

Resta tuttavia ancora lontano il primato dell'uso per SMS, che è pratica quotidiana per l'83,7% del campione. Tuttavia, nelle risposte aperte al questionario c'è già chi dice "Chatto di più su Facebook perché è più veloce comodo e più conveniente che messaggiare con un cellulare".

Quel legame che già nell'analisi dei dati del 2009 avevamo ravvisato fra virtuale e reale, individuando una correlazione fra il tempo speso in rete e la creazione di occasioni di socialità negli spazi reali, è tuttora presente nei dati del questionario. In particolare, abbiamo voluto studiare quale tipo di legame potesse esserci fra il tempo dedicato ad alcune delle principali attività praticate dai ragazzi nel dopo-scuola e i momenti di socializzazione condivisi con gli amici. Per questo scopo abbiamo calcolato un parametro che abbiamo chiamato indice di sociabilità delle attività (si veda l'Appendice per i dettagli algoritmici), che intende esplicitare una relazione di co-occorrenza fra una certa attività e la socializzazione che ne può conseguire .

Sulla base delle relazioni fra le risposte date alla domanda "[Ieri] quanto tempo (in ore) hai dedicato a?" , abbiamo attribuito gli indici di sociabilità mostrati in tabella 4 (l'indice può variare da 0 a 1):

Stare solo0,273
Intenet0,213
Studiare0,206
Fare sport0,183
Leggere0,081

Tabella 4 - Indice di sociabilità: co-occorrenza di un'attività rispetto all'incontro con gli amici

Si nota che il tempo trascorso in Internet ha un legame più forte con l'incontrare gli amici di quanto non abbiano lo studio, la pratica sportiva e la lettura. L'unica attività collegata con più forza è lo star da soli: probabilmente chi ha meno stimoli si sente poi più facilmente spinto a uscire di casa per incontrarsi con gli amici.

Dunque, si ribadisce la funzione di protesi relazionale degli strumenti telematici: da una parte consentono di mantenere vive reti di relazioni ("Ho capito che Facebook mi permette di mantenere vive le mie amicizie", "Mi piace sentire persone che magari non riesco a vedere spesso perché abitano lontano", "Ci si può tenere in contatto con amici / famigliari"), anche con comunicazioni che spesso, come già osservato nel corso della prima indagine, non hanno particolare contenuto informativo, quanto piuttosto la funzione metafàtica di comunicare agli altri la propria disponibilità all'interazione, come mostrano con chiarezza varie testimonianze proposte nel capitolo sui focus group; dall'altra parte le reti stesse consentono di organizzare con efficacia gli incontri negli spazi fisici ("essendo aumentati gli iscritti a Facebook tra i miei amici più stretti risulta più comodo e meno dispendioso organizzarsi su Facebook piuttosto che con il telefono", "Sono referente di un gruppo 'reale' e c'è bisogno che chiunque appartenga a quel gruppo possa contattarmi", "Lo utilizzo anche per rimanere in contatto con i gruppi sportivi").

Competenza

Un terzo tema importante è a nostro avviso quello delle competenze. Già nel capitolo sui focus group se ne è parlato, esprimendo un'idea che i vari gruppi di lavoro dell'Osservatorio hanno avuto modo di condividere nelle discussioni collettive: a dispetto della retorica sui nativi digitali, troppo spesso i nostri ragazzi manifestano indubbie abilità d'uso, che però non sono supportate da adeguata conoscenza degli strumenti, dei contesti, dei linguaggi e dei protocolli di comunicazione , ragion per cui non si tramutano in vera competenza e in consapevolezza dei mezzi, sia per quanto riguarda le opportunità che essi offrono, sia per quanto riguarda i rischi connessi al loro impiego.

Ciò è grave: nella comunità scientifica e fra gli utenti più accorti della Rete è opinione diffusa che il cosiddetto digital divide non sia più, per lo meno nei Paesi occidentali, fra quanti hanno o non hanno accesso alle tecnologie telematiche, ma fra quanti sanno o non sanno farne un uso proprio (Bentivegna, 2009; van Dijk 2005). In questo senso le agenzie educative, in primis la scuola, devono pensare a progetti educativi che non puntino soltanto a promuovere abilità d'uso, come si vede spesso nel panorama formativo odierno, in quanto un progetto del genere è destinato a fornire solo una parte limitata e limitante degli strumenti che sono necessari per lo sviluppo di un'utenza in grado di sfruttare con efficacia le potenzialità degli strumenti telematici.

I nostri dati parlano chiaramente a sfavore delle competenze informatiche: per esempio, abbiamo trovato che il 90,3% dei ragazzi non usa mai uno strumento di condivisione come Google Docs con i compagni, l'86,8% non usa Dropbox. Investiti come siamo da tanta comunicazione massmediale sulla civiltà 2.0, ci saremmo aspettati risposte ben diverse a queste domande. Al contrario, una piacevole sorpresa è legata, come anticipato nel capitolo metodologico, all'uso di Facebook nelle scuole: il 61,8% degli intervistati iscritti a Facebook ha dichiarato di usare frequentemente con i compagni di scuola i gruppi chiusi di Facebook per fini didattici (raramente il 23,9%, mai il 14,3%); e usa frequentemente gruppi aperti il 16% del campione (26,3% raramente, 57,7% mai). Da quanto ci è stato permesso di capire nel corso dei nostri focus group in fase di progetto del questionario, i gruppi chiusi sono usati per scambio e diffusione di materiali didattici e vi intervengono anche i docenti, o direttamente in quanto essi stessi utenti del servizio, o indirettamente, passando i materiali da distribuire a uno studente incaricato della propagazione.

La mancata conoscenza dei meccanismi di funzionamento delle reti, a ogni livello, espone a rischi che i ragazzi difficilmente sanno stimare: il caso più emblematico della loro esposizione è legato alla diffusione delle immagini. Come già nel 2009, abbiamo rilevato una percentuale molto alta di ragazzi che diffondono le proprie immagini con disinvoltura, anche a sconosciuti . Alla domanda "Indica con quale frequenza invii fotografie a persone conosciute in chat" risponde "Mai" il 63,1% dei rispondenti. Ciò significa che il restante 36,9% ha inviato almeno una volta foto a sconosciuti e che il fenomeno ha in ogni caso dimensioni più rilevanti, in quanto la domanda restringeva il comportamento all'ambiente della chat, ma è verosimile che una porzione di quel 63,1% abbia avuto occasione di trasmettere proprie immagini a sconosciuti in altri ambienti virtuali.

Purtroppo la maggioranza dei ragazzi non percepisce alcun problema nello scambio di immagini, né ha ritegno a esibire in Rete comportamenti poco ortodossi, primo fra tutti il binge drinking.

Dai colloqui con i ragazzi (ma anche con gli adulti) emerge la convinzione fallace di poter esercitare un controllo sulle informazioni pubblicate in Rete, controllo che invece spesso non è possibile esercitare. Far sparire fotografie compromettenti è difficile e i tentativi spesso sortiscono l'effetto opposto, ossia quello di richiamare attenzione: è il cosiddetto effetto Streisand , del quale è stato vittima per esempio quel ragazzino (minorenne) americano con aspirazioni e foto da divo del cinema che, dopo aver rotto una relazione con una ragazza, scoprì che la ex fidanzata per vendetta aveva pubblicato in un servizio online per la condivisione di immagini sue fotografie arricchite da commenti ironici; in seguito a una lettera di protesta della mamma del ragazzo, con la quale si intimava al servizio online e al motore di ricerca Google di eliminare le fotografie, la piccola ritorsione della fanciulla abbandonata divenne un caso mondiale e, per quanto le foto originali fossero state rimosse, le copie fiorirono ovunque, grazie alla memoria della cache di Google; e poi ne proliferarono le imitazioni, con conseguente compromissione delle aspirazioni divistiche del ragazzo.

Uno scenario anche peggiore di quello legato allo scambio di immagini è quello prefigurabile in base ai risultati della domanda "Indica con quale frequenza nei social networks ti capita di rivelare la tua password a qualcuno", a cui solo il 73,8% dei rispondenti ha risposto "Mai". è lecito supporre che buona parte del restante 26,2% di ragazzi ignori quanto un comportamento simile aumenti la vulnerabilità dei loro sistemi informativi e dunque la loro stessa vulnerabilità e quali possano esserne le conseguenze. In effetti, coerentemente con questa statistica, i 79,5% dei ragazzi dichiara di non avere mai avuto in Rete la sensazione di potersi trovare in pericolo.

Affidarsi alla tecnologia confidando soltanto nei suoi mezzi è illusoria speranza di adoperare gli strumenti telematici come una bacchetta magica buona per tutte le occasioni: l'utente che voglia sfruttare al meglio i sistemi di elaborazione e comunicazione digitali per esserne padrone e non succube dovrebbe invece sforzarsi di acquisire consapevolezza delle tecnologie che usa. Soltanto questa è la direzione nella quale muoversi per far sì che gli strumenti, come ci ricordano Bocchi e Ceruti (2000), ci consentano di andare oltre i limiti naturali della nostra fragilità antropologica e agiscano come amplificatori cognitivi e sociali (Lazzari, 2012b; Mangiatordi & Pischetola, 2010).

Bibliografia

Akcora, C., Carminati, B., & Ferrari, E. (2012, december). Risks of friendships on social networks. Paper presented at the 2012 IEEE International Conference on Data Mining (ICDM), Bruxelles, Belgium.

Asai, R., & Kavathatzopoulos, I. (2012). Do social media generate social capital? Paper presented at the IADIS International Conference ICT, Society and Human Beings 2012, Lisbon, Portugal (pp. 133-136). Lisbon: IADIS.

Back, M.D., Schmukle, S.C., & Egloff, B. (2008). Becoming friends by chance. Psychological Science, 19 (5), 439-440.

Bentivegna, S. (2009). Disuguaglianze digitali. Bari-Roma: Laterza.

Bocchi, G., & Ceruti, M. (2000). Origini di storie. Milano: Feltrinelli.

De Fiori, A., Jacono Quarantino, M., & Lazzari, M. (2010). L'uso degli strumenti di comunicazione telematica fra gli adolescenti. In M. Lazzari, & M. Jacono Quarantino (A cura di), Adolescenti tra piazze reali e piazze virtuali (pp.171-203). Bergamo: Sestante edizioni.

Ellison, N.B., Steinfield, C., & Lampe, C. (2007). The benefits of Facebook 'friends': social capital and college students' use of online social network sites. Journal of Computer-Mediated Communication, 12 (4), 1143-68.

Ferri, P. (2011). Nativi digitali. Milano: Bruno Mondadori.

Granovetter, M.S. (1983). The strength of weak ties: a network theory revisited. Sociological Theory, 1, 201-233.

Lazzari, M. (2010). An experiment on the weakness of reputation algo-rithms used in professional social networks: the case of Naymz. Paper presented at the IADIS International Conference e-Society 2010, Porto, Portugal (pp. 509-522). Lisbon: IADIS.

Lazzari, M. (2011). The double virtual citizenship of (some) young immigrants in Italy. Paper presented at the International Workshop on Transnational HCI: Humans, Computers & Interactions in Global Contexts. Vancouver, Canada (paper 8).

Lazzari, M. (2012a). The role of social networking services to shape the double virtual citizenship of young immigrants in Italy. Paper presented at the IADIS International Conference ICT, Society and Human Beings 2012, Lisbon, Portugal (pp. 11-18). Lisbon: IADIS.

Lazzari, M. (2012b). La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e le tecnologie telematiche. In O. Osio, & P. Braibanti (A cura di), Il diritto ai diritti, Milano: FrancoAngeli.

Lazzari, M., & Jacono Quarantino, M. (A cura di). (2010). Adolescenti tra piazze reali e piazze virtuali. Bergamo: Sestante edizioni.

Mangiatordi, A., & Pischetola, M. (2010). Sustainable innovation strategies in education: OLPC case studies in Ethiopia and Uruguay. Paper presented at the Third World Summit on the Knowledge Society, Corfu, Greece, (vol. II, p. 102).

Mazzoni, E., & Gaffuri, P. (2009). Personal learning environments for overcoming knowledge boundaries between activity systems in emerging adulthood. eLearning Papers, 15.

van Dijk, J.A.G.M. (2005). The deepening divide. Thousand Oaks, CA: Sage.

RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO

Marco Lazzari (2013). La comunicazione degli adolescenti in Rete tra opportunità, rischi consapevolezza e fragilità, in M. Lazzari, M. Jacono Quarantino (a cura di), Identità, fragilità e aspettative nelle reti sociali degli adolescenti. Bergamo: Bergamo University Press, pp. 193-203.

Si può scaricare da qui la PDF iconversione integrale PDF del capitolo (250 KB).

Keywords

Adolescenti, adolescenza, piazza reale, piazza virtuale, comunicazione, Internet, Web, Web 2.0, social networks, Facebook, Bergamo, amicizia, sconosciuti, competenze digitali, scuola superiore, scuole superiori.

Il libro

Il volume Identità, fragilità e aspettative nelle reti sociali degli adolescenti sul sito dell'editore

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