I viceré NomeDelloStudente CognomeDelloStudente Università degli Studi di Bergamo Sommario Esercizio I La chiesa dei Cappuccini Tutta la notte era venuto dalla chiesa un frastuono di martelli, d'asce e di seghe, e le finestre erano state abbrunate fin dal giorno precedente. A buon'ora, dinanzi alla folla curiosa che gremiva la terrazza e le scalinate, avevano inchiodato sulla porta maggiore il drappellone di velluto nero con frange d'argento, sul quale leggevasi a caratteri d'oro: PER L'ANIMA DI DONNA TERESA UZEDA E RISÀ PRINCIPESSA DI FRANCALANZA ESEQUIE Verso sedici ore, don Carlo Canalà, col naso in aria, sotto la porta spiegava al principe di Roccasciano, tra le gomitate di quelli che entravano continuamente: Saltando avanti... Don Cono Canalà, data un'occhiata all'apparato, aveva tentato tre o quattro volte, per conto suo, d'avvicinarsi a qualcuno degli epitaffi, ma non era riuscito a spingersi tanto innanzi da leggerli; e col capo rovesciato, il cappello ammaccato dai continui urtoni, i piedi pestati, la camicia in sudore, tangheggiava come una barca in mezzo alla tempesta. Con belle maniere, dicendo: "Di grazia!... La prego!... Mi scusi!..." arrivò finalmente a tiro della prima tabella, dove leggevasi: SOTTO MULIEBRI SPOGLIE CUORE GAGLIARDO PIETOSO ANIMO ELETTO MUNIFICO SPIRITO SVEGLIATO FECONDO ONNINAMENTE DEGNA DELLA MAGNANIMA STIRPE CHE LA FE' SUA "Onninamente?...." disse il barone Carcaretta che si trovava a fianco di don Cono. "Che cosa significa?" "Importa interamente, o vogliam dire del tutto... Onninamente degna della stirpe... Come le piace questo concetto?..." "Eh, va bene; ma non capisco perché si divertano a pescar le parole difficili!" "Veda..." spiegò allora don Cono, insinuante: "lo stile epigrafico tiene al sommo grado del nobile e del sostenuto... Io non potevo adoprare..." "Ah, l'avete scritta voi?" "Sissignore... ma non solo, veramente: di unita col cavaliere don Eugenio... Io ho curato sovra tutto la forma... Bramerei vedere le altre: temo non abbian preso un qualche abbaglio, in copiando..." Ma la chiesa era talmente gremita che potevano appena fare due passi ogni quarto d'ora; e tutt'intorno la gente che non riusciva ad andare né avanti né indietro né a veder altro fuorché la cima della piramide, ingannava l'impazienza dell'attesa chiacchierando, dicendo vita, morte e miracoli della principessa. E per finire... "È vero che non sapeva leggere né scrivere?" "Sapeva leggere soltanto nel libro delle devozioni e in quello dei conti!" Frattanto don Cono avvicinavasi, a passo di formica, alla seconda iscrizione: ORBATA DEL TUO FIDO CONSORTE NEL MORTALE VIAGGIO VECE FACESTI AL TUOI FIGLI DEL PADRE LORO. Prima ancora di scorgere i caratteri, don Cono che la sapeva a memoria, recitò l'epigrafe al barone, fermandosi un poco a ciascuna parola, più a lungo ad ogni capoverso, gestendo con la mano come se spruzzasse acqua benedetta, per sottolineare i passaggi salienti: "Ignoro se approvate questo concetto: orbata... vece facesti..." Ma nuove ondate della folla lo divisero la seconda volta dal compagno. Veniva ora dalla terrazza e dalle scalinate un vasto sussurro, perché i rintocchi del mortorio annunziavano finalmente la partenza del corteo dal palazzo.