I viceré NomeDelloStudente CognomeDelloStudente Università degli Studi di Bergamo Sommario Esercizio IV Il barone e la ragazza Tanto il barone che la ragazza riconobbero che questo era giusto; però, dando il padre quattrocentomila onze, cioè quasi tutto a Teresa e spogliando la minore Filomena che trovò poi per caso da maritarsi col cavaliere Vita e restò sempre in freddo con la sorella, pretese, d'accordo con la figliuola, che il matrimonio fosse contratto col regime della comunione dei beni e che a lei toccasse dirigere la baracca. Aveva quasi trent'anni, la promessa; dieci più di Consalvo VII, essendo nata nel 1795, e non avendo potuto trovare per molto tempo un partito conveniente; il suo carattere, già forte, s'era inasprito nella lunga attesa del matrimonio, e dalla grande ricchezza, dalla potenza quasi feudale esercitata dal padre nel paesetto nativo le veniva un bisogno di comando, d'autorità, di supremazia che ella volle esercitare nella sua nuova casa. Il principe Giacomo XIII dovette piegarsi a quelle dure condizioni per evitare il fallimento e la liquidazione. E così tanto suo figlio quanto egli stesso furono costretti a lasciar le redini in mano alla moglie e nuora. Donna Teresa salvò infatti la casa, ma vi esercitò un potere tirannico al quale si piegarono tutti, dal primo all'ultimo, fuorché don Blasco. Senza paura né di Dio né del diavolo, il monaco la fece costante bersaglio della sua più violenta opposizione. Ella restrinse certe spese Se ella restrinse certe spese, la accusò di disonorar la famiglia con la sua tirchieria; se continuò a spendere in altre cose come prima, le rinfacciò di volerla portare all'ultima rovina; ascoltando gli altrui consigli, ella fu una bestia incapace di pensare col proprio cervello; se fece da sé, restò più bestia di prima, accoppiando la presunzione alla bestialità. I quattrini che aveva portato in dote che erano? Una miseria! Quando quella miseria puntellò e fortificò la pericolante baracca, divenne il prezzo col quale ella comprò il titolo di principessa. La sua nobiltà era della quinta bussola, non solo incapace di stare a paragone con quella sublime degli Uzeda, ma neppur degna d'uno dei loro lavapiatti, di quei nobilucci morti di fame che vivevano facendo quasi da servitori ai gran signori. Ella non poté ordinare un abito alla sarta, né comprare un cappellino o un paio di guanti, senza che il monaco criticasse l'occasione della spesa, la qualità dell'oggetto e la scelta del negozio. Ma don Blasco non risparmiava neppure gli altri parenti; non il padre, che aveva prima ingoiato un patrimonio e adesso era ridotto a vivere dell'elemosina della nuora, non il fratello che aveva lasciato portare i calzoni alla moglie, mentre egli portava invece... "Santa prudenza! santa prudenza! aiutami tu!..." esclamava allora, tappandosi violentemente la bocca, dicendone più con quelle reticenze che non con un lungo discorso, confermando in tal modo le ciarle sparse sul conto della cognata, spiattellando poi in tutte sillabe il nome che conveniva a costei quando, morti i due principi padre e figlio nello stesso anno, la principessa restò sola, e molto più libera di prima, che era stata liberissima. Ella lo lasciava cantare Ella lo lasciava cantare. Le grida del monaco non le potevano impedire di fare in tutto e per tutto quel che le pareva e piaceva. E don Blasco si dannava l'anima, vedendo le sue stravaganze e le sue pazzie. Il primogenito, in tutte le case di questo mondo, è il prediletto, va bene? Lì, invece, era odiato! Chi era il preferito? Il terzogenito! Da secoli e secoli, il titolo di conte di Lumera era appartenuto, con tutti gli altri, al capo della casa: adesso, per puro capriccio, per una pazzia furiosa, toccava a quel Raimondo che era stato educato come un "porco"! E il secondogenito, a cui neppure il Re avrebbe potuto togliere il suo titolo vitalizio di duca d'Oragua, era invece chiuso a San Nicola!...