Victor HUGO, I MISERABILI Sommario PARTE PRIMA- FANTINE Fino a quando esisterà, per causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale, che crea artificialmente, in piena civiltà, degli inferni e che complica con una fatalità umana il destino, che è divino; fino a quando i tre problemi del secolo, l'abbrutimento dell'uomo per colpa dell'indigenza, l'avvilimento della donna per colpa della fame e l'atrofia del fanciullo per colpa delle tenebre, non saranno risolti; fino a quando, in certe regioni, sarà possibile l'asfissia sociale; in altre parole, e, sotto un punto di vita ancor più esteso, fino a quando si avranno sulla terra, ignoranza e miseria, i libri del genere di questo potranno non essere inutili. Hauteville House, I gennaio l862 LIBRO PRIMO - UN GIUSTO XI - UNA RESTRIZIONE Si rischierebbe assai d'ingannarsi, se si concludesse da ciò che monsignor Bienvenu fosse "un vescovo filosofo" o "un curato patriota." Il suo incontro, si potrebbe dire la sua congiunzione, quasi, col convenzionale G. gli aveva lasciato una specie di stupore, che lo rendeva ancor più dolce: ecco tutto. Sebbene monsignor Bienvenu sia stato sempre tutt'altro che un uomo politico, non è forse inopportuno far qui cenno, brevemente, di quello che fu il suo atteggiamento negli avvenimenti d'allora, sempre supponendo che monsignor Bienvenu abbia mai pensato ad avere un atteggiamento. Ritorniamo perciò indietro di alcuni anni. Qualche tempo dopo l'elevazione di monsignor Myriel all'episcopato, l'imperatore l'aveva fatto barone dell'impero, contemporaneamente a molti altri vescovi. Come si sa, l'arresto del papa ebbe luogo nella notte dal 5 al 6 luglio 1809: ora, in quella circostanza, monsignor Myriel fu chiamato da Napoleone al sinodo dei vescovi di Francia e d'Italia, convocato a Parigi. Quel sinodo si riunì in Notre Dame e tenne la sua prima seduta il 15 giugno 1811, sotto la presidenza del cardinale Fesch. Myriel fu nel numero dei novantacinque vescovi che v'intervennero; ma assistette ad una sola seduta ed a tre o quattro conferenze private. Vescovo d'una diocesi di montagna, avvezzo a vivere in mezzo alla natura, in modo primitivo e nelle privazioni, sembra ch'egli portasse, in mezzo a quegli eminenti personaggi, certe idee che mutavano la temperatura dell'assemblea; per cui tornò presto a Digne. Interrogato su quel pronto ritorno, rispose: "Davo loro noia. Per mio tramite, giungeva loro l'aria esterna, e perciò facevo l'effetto d'una finestra aperta." Un'altra volta disse: "Che volete? Quei monsignori sono principi ed io non sono che un povero vescovo paesano." Fatto sta ch'egli era spiaciuto. Fra le altre cose bizzarre, una sera che si trovava in casa d'un collega dei più distinti, gli era scappato detto: "Che belle pendole! Che bei tappeti! Che belle livree! Dev'essere una cosa noiosissima! Oh, io non vorrei avere tutto questo superfluo a gridarmi senza posa all'orecchio: 'C'è gente che ha fame! C'è gente che ha freddo! Ci sono dei poveri, dei poveri!'." [...] XII - SOLITUDINE DI MONSIGNOR BIENVENU C'è quasi sempre, intorno ad un vescovo, una scorta d'abatini, come intorno ad un generale c'è uno stormo d'ufficialetti; sono quelli che l'affascinante San Francesco di Sales chiamava in qualche luogo "i preti sbarbatelli". Ogni carriera ha i suoi aspiranti, che fanno corteggio agli arrivati; e non v'è potenza che non abbia il suo seguito, come non v'è fortuna senza la sua corte. Gli arrivisti turbinano intorno allo splendido presente e, come ogni archidiocesi ha il proprio stato maggiore, così ogni vescovo un po' influente ha vicina a sé la propria pattuglia di cherubini seminaristi, che fa la ronda e mantiene il buon ordine nel palazzo episcopale, mentre monta la guardia intorno al sorriso del monsignore. Andar a genio a un vescovo, è già un piede nella staffa, per un suddiacono. Bisogna bene farsi la propria strada e l'apostolato non disdegna la prebenda. Come altrove i grossi papaveri, ci sono nella chiesa le grandi mitrie; sono i vescovi ben veduti, ricchi, ben pagati, abili, accetti al mondo, che sanno pregare, indubbiamente, ma sanno pure brigare, che si fanno poco scrupolo di far fare, proprio loro, anticamera a tutta una diocesi; punto di contatto fra la sagrestia e la diplomazia, piuttosto abati che preti, piuttosto prelati che vescovi. Felice chi li avvicina! Accreditati come sono, fanno piovere intorno a sé, sui faccendieri, sui favoriti e su tutta quella gioventù che sa piacere, le grasse parrocchie, le prebende, gli arcidiaconati, le cappellanie e gli incarichi maggiori, in attesa delle dignità episcopali. Mentre avanzano, fanno progredire i loro satelliti: è tutto un sistema solare in cammino. La loro porpora si riflette sul seguito e la loro prosperità si sbriciola fra le quinte in buone promozioncelle. Maggiore è la diocesi del superiore, maggiore è la parrocchia del favorito. E poi c'è Roma: un vescovo che sappia diventare arcivescovo, un arcivescovo che sappia diventar cardinale, vi porta seco come conclavista. Ed allora entrate nella sacra rota, avete il pallio, eccovi cameriere, eccovi monsignore; e dalla Grandezza all'Eminenza c'è solo un passo, come dall'Eminenza alla Santità c'è solo il fumo d'uno scrutinio. Ogni zucchetto può sognare la tiara ed il prete è oggi il solo uomo che possa regolarmente diventar re: e che re! Il re supremo. Per questo un seminario è un semenzaio d'aspirazioni. Quanti ingenui cantori, quanti abatini con in capo il vaso di latte di Pierina! E come facilmente l'ambizione (chissà? magari in buona fede e ingannandosi da sé) si chiama, lei beata, vocazione! Monsignor Bienvenu, umile, povero e in disparte, non era contato fra le grandi mitrie; lo si vedeva, dall'assenza completa di giovani preti intorno a lui. Si è già visto che a Parigi "non aveva fatto presa". Nessun avvenire pensava ad innestarsi su quel solitario vegliardo; nessuna ambizione in erba commetteva la pazzia di verdeggiare alla sua ombra. I suoi canonici ed i suoi maggiori vicari erano buoni vecchi, un poco plebei come lui, murati al pari di lui in quella diocesi senza sfogo nel cardinalato, e assomigliavano al loro vescovo, coll'unica differenza che essi erano finiti, mentr'egli era perfetto. questo testo è distribuito con la licenza specificata all'indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/; è tratto da "I Miserabili", di Victor Hugo, edizione Garzanti 1981, su licenza Mursia e pubblicato da Liber Liber per concessione della Ugo Mursia Editore S.p.A.