Victor HUGO, I MISERABILI Sommario PARTE PRIMA- FANTINE Fino a quando esisterà, per causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale, che crea artificialmente, in piena civiltà, degli inferni e che complica con una fatalità umana il destino, che è divino; fino a quando i tre problemi del secolo, l'abbrutimento dell'uomo per colpa dell'indigenza, l'avvilimento della donna per colpa della fame e l'atrofia del fanciullo per colpa delle tenebre, non saranno risolti; fino a quando, in certe regioni, sarà possibile l'asfissia sociale; in altre parole, e, sotto un punto di vita ancor più esteso, fino a quando si avranno sulla terra, ignoranza e miseria, i libri del genere di questo potranno non essere inutili. Hauteville House, I gennaio l862 LIBRO SECONDO - LA CADUTA I - LA SERA D'UN GIORNO DI CAMMINO Ai primi d'ottobre del 1815, circa un'ora prima del tramonto del sole, entrava nella cittadina di Digne un uomo che viaggiava a piedi. I pochi abitanti in quel momento alla finestra o sulla soglia delle loro case guardarono quel viaggiatore con una specie d'inquietudine; era difficile, infatti, imbattersi in un viandante dall'aspetto più misero. Era un uomo di media statura, tozzo e robusto, ancora aitante e che poteva avere quarantasei o quarantott'anni, un berretto a visiera di cuoio abbassata gli celava in parte il viso, riarso dal sole e dalla caldura e madido di sudore; la camicia, di grossa tela gialla, allacciata al collo da una fibbietta d'argento, lasciava scorgere il petto villoso. Portava una cravatta attorcigliata come una corda, un paio di pantaloni di traliccio celeste, consunti e logori, con un ginocchio bianco e l'altro bucato, un vecchio camiciotto grigio a brandelli, su un gomito una toppa verde, cucita collo spago, in ispalla un sacco da soldato ben gonfio, tutto chiuso e nuovissimo; stringeva in pugno un enorme bastone nodoso ed aveva i piedi entro scarpe ferrate, la testa rasa e la barba lunga. Il sudore, il caldo, il viaggio a piedi e la polvere conferivano un aspetto indefinibile a quell'essere mal in arnese. Se i capelli erano corti, erano tuttavia irti; poiché incominciavano a spuntare un poco e sembrava non fossero stati tagliati da qualche tempo. Nessuno lo conosceva; era evidentemente un viandante di passaggio. Donde veniva? Dal mezzodì e forse dalla costa, poiché aveva fatto il suo ingresso in Digne dalla via che sette mesi prima aveva visto passare l'imperatore Napoleone, che andava da Cannes a Parigi. Quell'uomo doveva aver camminato tutto il giorno e pareva stanchissimo; alcune donne del vecchio borgo che si stende nella parte bassa della città l'avevan visto fermarsi sotto gli alberi del viale Gassendi e bere alla fontana all'estremità della passeggiata; e bisogna dire che avesse molta sete, poiché alcuni fanciulli che lo seguivano lo videro ancora fermarsi a bere, duecento passi più lontano, alla fontana in piazza del mercato. Giunto all'angolo della via Poichevert, prese a sinistra e si diresse al municipio; entrò e ne uscì un quarto d'ora dopo. Un gendarme stava seduto vicino alla porta, sul banco di pietra sul quale salì, il 4 marzo, il generale Drouot per leggere alla folla sgomenta il proclama del golfo Juan; l'uomo si levò il berretto e salutò umilmente il gendarme. Questi, senza rispondere al suo saluto, lo guardò con attenzione, lo seguì per qualche tempo collo sguardo e poi rientrò nel municipio. V'era allora in Digne un bell'albergo, all'insegna della Croce di Colbas, che aveva per albergatore un certo Giacomino Labarre, uomo tenuto in considerazione nella città, per la sua parentela con un altro Labarre che conduceva a Grenoble l'albergo dei Tre Delfini e che aveva prestato servizio militare nelle guide. All'epoca dello sbarco dell'imperatore, erano corse in paese molte voci su quell'albergo dei Tre Delfini; si raccontava che il generale Bertrand, travestito da carrettiere, vi avesse fatto frequenti viaggi nel mese di gennaio, distribuendovi croci d'onore ai soldati e napoleoni ai borghesi. La verità è che l'imperatore entrato in Grenoble, aveva ricusato d'alloggiare alla prefettura ed aveva ringraziato il sindaco, dicendo: "Vado da un brav'uomo che conosco," ed era andato ai Tre Delfini. Questa gloria del Labarre dei Tre Delfini si ripercoteva a venticinque leghe di distanza fin sul Labarre della Croce di Colbas; si diceva di lui in città: "È il cugino di quel di Grenoble." [...] II - LA PRUDENZA DATA PER CONSIGLIO ALLA SAGGEZZA Quella sera, il vescovo di Digne, dopo la sua passeggiata in città, era rimasto chiuso nella sua camera piuttosto a lungo. Stava occupandosi d'una grande opera intorno ai Doveri, rimasta disgraziatamente interrotta, e andava spogliando con cura tutto quello che i Padri e i Dottori hanno detto su questa grave materia. Il suo libro era diviso in due parti: in primo luogo i doveri di tutti, poi i doveri di ciascuno, secondo la classe alla quale appartiene. Di tutti sono i grandi doveri, complessivamente quattro come indica san Matteo: verso Dio (Matteo, VI), verso se stesso (Matteo, V, 29-30), verso il prossimo (Matteo, VII, 12) e verso gli esseri creati (Matteo, VI 20-25). Per gli altri doveri, il vescovo li aveva trovati indicati e prescritti altrove: ai sovrani ed ai sudditi, nell'Epistola ai romani; ai magistrati, alle spose, alle madri ed ai giovani da san Pietro; ai mariti, ai padri, ai fanciulli ed ai servitori, nell'Epistola agli abitanti d'Efeso; ai fedeli, nell'Epistola agli Ebrei; alle vergini, nell'Epistola ai corinzii. Di tutte quelle prescrizioni egli andava elaborando un testo da presentare ai credenti. Stava ancor lavorando alle otto, e prendeva appunti su foglietti di carta con un librone aperto sulle ginocchia, quando la signora Magloire entrò, al solito, per prendere l'argenteria dallo stipo vicino al letto. Poco dopo, il vescovo, immaginando che la tavola fosse apparecchiata e la sorella, forse, l'aspettasse, chiuse il libro, s'alzò dal tavolo ed entrò nella sala da pranzo, una stanza oblunga, col camino, la porta che dava, come abbiamo già detto, sulla strada, e la finestra sul giardino.