I MISERABILI, Victor HUGO Sommario PARTE PRIMA- FANTINE Fino a quando esisterà, per causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale, che crea artificialmente, in piena civiltà, degli inferni e che complica con una fatalità umana il destino, che è divino; fino a quando i tre problemi del secolo, l'abbrutimento dell'uomo per colpa dell'indigenza, l'avvilimento della donna per colpa della fame e l'atrofia del fanciullo per colpa delle tenebre, non saranno risolti; fino a quando, in certe regioni, sarà possibile l'asfissia sociale; in altre parole, e, sotto un punto di vita ancor più esteso, fino a quando si avranno sulla terra, ignoranza e miseria, i libri del genere di questo potranno non essere inutili. Hauteville House, I gennaio l862 LIBRO SECONDO - LA CADUTA XII - IL VESCOVO LAVORA [...] Poco dopo, egli faceva la colazione mattutina a quella stessa tavola dove Valjean s'era seduto la sera prima. Mentre mangiava, monsignor Bienvenu faceva allegramente notare alla sorella, che non diceva nulla, ed alla signora Magloire, che brontolava fra i denti, che non v'è alcun bisogno di cucchiaio o forchetta, neppur di legno, per intingere un pezzo di pane in una tazza di latte. "Ma si può immaginare una cosa simile?" diceva fra sé la signora Magloire mentre andava e veniva. "Ricevere un uomo come quello! Dargli alloggio vicino a sé! E meno male che non ha fatto che rubare! Oh, mio Dio, c'è da tremare solo a pensarci!" Mentre il fratello e la sorella stavano per alzarsi da tavola, bussarono alla porta. "Entrate," disse il vescovo. La porta s'aperse con violenza ed un gruppo strano apparve sulla soglia. Tre uomini ne tenevano un quarto per il bavero; tre erano gendarmi, il quarto Jean Valjean. Un brigadiere, che pareva guidasse il gruppo, stava presso alla porta; entrò e s'avanzò verso il vescovo, facendo il saluto militare. "Monsignore..." disse. A quella parola, Valjean, ch'era cupo e pareva abbattuto, rialzò il capo con aria stupita. "Monsignore?" mormorò. "Non è dunque il curato?" "Silenzio!" disse un gendarme. "È monsignor vescovo." Intanto monsignor Bienvenu s'era avvicinato con tutta la vivacità concessagli dalla sua tarda età. "Oh, eccovi!" esclamò, guardando Valjean. "Sono lieto di vedervi. Ma come? V'avevo regalato anche i candelieri che sono d'argento come il resto e dai quali potrete ben ricavare duecento franchi; perché non li avete portati con voi, insieme alle vostre posate?" Jean Valjean alzò gli occhi e fissò il venerabile vescovo con un'espressione che nessuna lingua umana potrebbe esprimere. "Allora, monsignore," disse il brigadiere "sarebbe vero quello che ci ha detto quest'uomo? L'abbiamo incontrato mentre se ne andava come uno che ha molta fretta e l'abbiamo fermato per vedere. Aveva questa argenteria..." [...] XIII - GERVASINO Jean Valjean uscì dalla città come se fuggisse e si diede a camminare frettoloso per i campi, prendendo le prime vie, i primi sentieri che gli capitavano davanti senz'accorgersi che tornava sui suoi passi; girovagò in tal modo tutta la mattina, digiuno e senza fame. Era in preda ad una folla di nuove impressioni, sentiva in sé una specie di collera, pur non sapendo contro chi, non avrebbe potuto dire se era commosso od umiliato; a tratti, si sentiva preso da una strana tenerezza che cercava di combattere, con l'indurimento dei suoi ultimi vent'anni; e ciò lo stancava. Vedeva con inquietudine vacillare in lui quella sorta di spaventosa calma che l'ingiustizia del suo male gli aveva dato e s'andava chiedendo come l'avrebbe sostituita. Talvolta avrebbe preferito finire in prigione coi gendarmi, piuttosto che veder le cose andare in quel modo; sarebbe stato meno agitato. Benché la stagione fosse avanzata, v'erano ancora, qua e là nelle siepi, fiori tardivi e l'odore gli richiamava alla memoria ricordi di infanzia, quasi insopportabili, dopo così gran tempo dimenticati. Tutto il giorno s'accumularono in lui pensieri sopra pensieri, tutti inesprimibili. Quando il sole declinò ad occidente allungando sul suolo l'ombra d'ogni piccolo ciottolo, Valjean si trovò seduto dietro un cespuglio, in una gran pianura rossastra deserta. Solo le Alpi si profilavano all'orizzonte; nessun campanile di villaggio lontano. Poteva essere a tre leghe da Digne; un sentiero che attraversa la pianura s'apriva a pochi passi dal cespuglio. Meditava coperto dei suoi cenci spaventosi allo sguardo di chiunque l'avesse incontrato, quando sentì un suono allegro. Volse il capo e vide venire dal sentiero un piccolo savoiardo di circa dodici anni, che cantava, colla ghironda al fianco e la gabbia della marmotta sulla schiena; uno di quei buoni e allegri ragazzi che vanno di paese in paese, cui escono le ginocchia dai buchi dei calzoni. Mentre cantava, il fanciullo interrompeva di tanto in tanto il cammino e giocava con alcune monete che teneva in mano e che eran probabilmente la sua fortuna, ve n'era una da quaranta soldi. Il fanciullo si fermò a fianco del cespuglio senza vedere Valjean e fece saltar la manata di soldi che fino allora aveva ripresa tutta, con discreta abilità, sul dorso della mano; ma stavolta la moneta da quaranta soldi gli sfuggì e andò a rotolare verso il cespuglio, fino a Valjean. Egli vi pose sopra un piede Però il fanciullo, seguìta coll'occhio la moneta, aveva veduto dov'era andata a finire. Non si stupì e si diresse verso l'uomo. Il luogo era solitario. Fin dove lo sguardo poteva arrivare, non si vedeva nessuno nella pianura, né sul sentiero; solo i deboli gridi d'uno stormo d'uccelli di passaggio attraversavano il cielo ad immensa altezza. Il fanciullo voltava le spalle al sole, che gli seminava di fili d'oro i capelli e imporporava d'un sanguigno bagliore la faccia feroce di Valjean.