Salta il menu

Logo Università di Bergamo - link alla pagina iniziale

MARCO LAZZARI?        

: Univ. di Bergamo > Dipartimento di Scienze della persona > Marco Lazzari > Sintesi di un articolo su informatica e scienze della persona

Le frecce di Basilea e le faretre degli informatici

di Marco Lazzari

Le frecce di Basilea

La città di Basilea si trova, in territorio elvetico, appena al di qua del confine sia con la Francia, sia con la Germania. Chi arriva a Basilea in automobile dal sud diretto al nord, avvicinandosi al confine si immette in un tunnel, dove incontra una biforcazione: da una parte si va in Francia, dall'altra in Germania.

L'indicazione che dovrebbe guidare a scegliere la direzione da prendere e a incanalarsi nella corsia che porta al ramo "giusto" della biforcazione è appesa in alto nel tunnel ed è facile che, nel traffico, non la si noti o non si faccia in tempo a interpretarla correttamente. Avvicinandosi al bivio in mancanza di una chiara lettura del cartello, ci si trova a dover scegliere se andare a destra o a sinistra, con scarse opportunità di ritornare sulle proprie scelte quando nell'immediata prossimità del bivio vengono riproposte le indicazioni, in quanto la conformazione viaria e il traffico intenso difficilmente consentono una correzione di rotta in extremis.

Come scegliere la direzione da prendere, se non si sono notate le indicazioni stradali?

Il viaggiatore con un minimo bagaglio di competenze geografiche farà ricorso a quella che potremmo chiamare, parafrasando Eco,1 la sua enciclopedia del lettore di carte geografiche: la Francia è a Ovest, la Germania a Est, la rotta è Sud - Nord, dovendo andare in Francia svolterà a sinistra, dovendo andare in Germania svolterà a destra.

In questo caso il viaggiatore rimpiangerà le ore sottratte ai giochi per dedicarle allo studio della geografia ai tempi delle scuole medie, quando si ritroverà dalla parte sbagliata della frontiera:2 infatti, uno svincolo stradale subito dopo il bivio fa sì che i veicoli che hanno preso a destra vadano poi a Ovest, in Francia, e viceversa.

Il percorso è dunque anti-intuitivo, almeno rispetto all'intuizione che può avere il viaggiatore medio; certamente le ragioni per una scelta del genere saranno ingegneristicamente impeccabili ed elveticamente precise, né si può pretendere che il disegno delle strade stravolga il territorio solo per venire incontro all'intuizione di viaggiatori moderatamente colti. Non è però neppure ragionevole che i viaggiatori stessi siano costretti a finire in un Paese diverso da quello dove avrebbero voluto arrivare.

In questo caso una soluzione non particolarmente impegnativa sembrerebbe facile a trovarsi: la ridondanza delle indicazioni potrebbe evitare all'autista di basarsi sulla propria enciclopedia del lettore, ingannandosi. Replicare le indicazioni più volte in prossimità del bivio diminuirebbe la possibilità di errori.

Sfortunatamente, spesso chi progetta le indicazioni stradali, sia in termini di collocazione sia di scelta dei "testi", si basa sulla propria percezione locale dell'ambiente e delle necessità comunicative, senza porsi il problema dell'orientamento di chi arriva da lontano e non ha conoscenza del territorio, per cui ha la necessità della esplicitazione delle conoscenze che per i locali sono implicite.

Il fenomeno appena descritto, tratto dalla vita quotidiana, ha analogie con fenomeni frequenti nel mondo dell'informatica nel campo delle interfacce uomo macchina3 e in particolar modo nelle interfacce web.

Sovente i progettisti di sistemi informatici concentrano la loro attenzione su caratteristiche funzionali dei sistemi, sui requisiti esplicitati dai committenti, su aspetti legati all'efficacia dell'elaborazione, trascurando il momento fondamentale dell'esperienza dell'utente. Ne nascono mostri informatici che, per restare nella metafora stradale, sono ampi rettilinei perfettamente asfaltati, lungo i quali si può correre in tutta sicurezza verso destinazioni sconosciute e non necessariamente desiderate.

Un esempio per tutti: una università italiana mette a disposizione dei propri docenti uno "sportello telematico" che consente loro di ottenere via rete a casa propria gli elenchi degli studenti iscritti agli appelli d'esame. Si tratta di un servizio particolarmente utile, perché il docente può in questo modo sapere in anticipo il numero degli studenti che si presenteranno all'appello e ha perciò la possibilità di pianificare l'esame.

Il cammino per arrivare alla meta, tuttavia, è particolarmente tortuoso e ricco di insidie: a partire dalla pagina iniziale dell'ateneo in questione, è stato calcolato che, per scaricare un elenco in formato testo degli iscritti a un certo esame, si debbano fare non meno di tredici clic, con altrettanti scambi di informazioni fra l'elaboratore dell'utente e l'archivio dell'ateneo; per chi sia collegato da casa via rete telefonica significa un dispendio di tempo e di energie nervose non da poco, soprattutto nella prospettiva di chi deve scaricare le liste di due o più insegnamenti, visto che lo stesso sportello non prevede opzioni di accorpamento.

Ma non è tutto: nel percorso capitano situazioni come quella del tunnel di Basilea, per cui la scelta che verrebbe spontanea non è quella corretta, come quando vengono proposti contemporaneamente e con lo stesso stile grafico i pulsanti Logon4 ed Elenchi prenotati e l'incauto utente pigia Elenchi prenotati (il suo obiettivo), per vedersi proporre una schermata che dice "È necessario fare Logon per accedere alle funzioni!", schermata che potrà chiudere con l'ennesimo clic, necessario per tornare alla pulsantiera di partenza, dove dovrà rassegnarsi a pigiare Logon.

È questa la tipica situazione di programma perfettamente adeguato alla "dimostrazione all'amministratore delegato" (al Rettore), quando si lavora su un'efficiente rete locale, si conosce perfettamente la strada migliore per arrivare alla destinazione e fra un clic e l'altro si riempiono i tempi d'attesa spiegando il funzionamento del programma, le sue varie opzioni, la struttura ad albero delle informazioni; ma decisamente inadeguato alle esigenze di utenti finali che, non conoscendo a priori il percorso da seguire, vorrebbero comunque arrivare alle foglie dell'albero nel più breve tempo possibile e senza divagazioni.

Ritornando alla cruciale questione della mancanza di repliche delle indicazioni stradali introdotta in apertura, si tratta di un problema vivo anche nel mondo del web, dove invero diversi autori suggeriscono di evitare la ridondanza di collegamenti;5 se un punto di vista di questo genere può essere comprensibile nel momento in cui tende ad alleggerire il carico cognitivo che grava sull'utente che deve interpretare una pagina web, il radicale rifiuto della ridondanza sembra essere eccessivo, dal momento che, per esempio, un moderato grado di ripetizione nelle strutture paratestuali di navigazione è spesso utile alla riduzione dei movimenti dell'utente all'interno della singola pagina: per esempio, quando i pulsanti che rinviano alle sezioni principali di un sito sono presenti sia all'inizio, sia alla fine di una pagina le cui dimensioni verticali eccedano l'altezza massima degli schermi comunemente in uso, l'utente giunto alla fine della pagina non è obbligato a risalire all'inizio per accedere al menù di navigazione, dal momento che lo ritrova a piè di pagina.6

Questi primi spunti di riflessione inducono a pensare che un modello di comunicazione fra macchina e utente umano debba necessariamente tenere in considerazione le esigenze dell'utente e i contesti d'uso. Ma prima di affrontare il tema della progettazione centrata sull'utente, vediamo ancora qualche esempio di comunicazione problematica, per completare il quadro.

Le frecce verso il Centro

Un caso piuttosto diffuso di comunicazione stradale ambigua è quello delle frecce che puntano a "Centro" senza dire di che località si tratta: quando ci si trova in una grande città o in una località isolata, indicazioni "centripete" di questo tipo possono avere un senso chiaro; ma nel caso di zone fittamente urbanizzate, dove i paesi si susseguono senza soluzione di continuità, creano confusione a chi non è del posto o di paesi limitrofi.

Evidentemente l'Amministrazione locale che pianifica la collocazione delle indicazioni stradali non concepisce alcun Centro al di fuori di sé. Per la stessa ragione, le indicazioni "centrifughe" sono ugualmente pensate secondo una logica locale, per cui all'uscita Nord del paese si mettono soltanto le indicazioni per le località verso le quali "normalmente" ci si dirige uscendo da Nord; logica apprezzabile da chi effettivamente è diretto a Nord, meno da chi, non conoscendo la zona, si ritrova per sbaglio a Nord dovendo invece uscire a Sud e non trova alcuna indicazione per ritornare sulla retta via.

Nel mondo del web una situazione simile a quella delle frecce centripete è riscontrabile spesso in pagine nelle quali è presente il classico puntatore a Home, ossia il collegamento con la pagina-radice del sito; e tuttavia nella pagina manca un'indicazione ontologica chiara, che segnali all'utente dove egli si trova e gli permetta di intuire che cosa sia Home in rapporto a quello specifico punto del web: per un utente che sia arrivato in una pagina "profonda" di un sito seguendo un percorso che è passato inizialmente dalla homepage, il puntatore a Home non creerà problemi; ma per un utente arrivato in quella stessa pagina tramite un collegamento partito da un altro sito, si potrà facilmente generare spaesamento.

Un altro fenomeno analogo, relativo alle strutture di navigazione dei siti, è quello legato all'uso del puntatore Back; con questo termine si intende la molteplicità di tipi di collegamento che nelle pagine web hanno etichette del tipo "back" oppure "indietro".

Premesso che non esiste una definizione precisa della semantica che questi puntatori dovrebbero avere, è ragionevole supporre che essa dovrebbe essere la stessa del pulsante "back" del browser,7 che permette all'utente di ritornare sui propri passi nel corso di una sessione di navigazione; questa modalità di funzionamento, che potremmo definire cronologica, è condivisa dai principali programmi di navigazione oggi in uso.

Al contrario, quando i realizzatori di pagine web inseriscono nelle proprie pagine collegamenti ai quali assegnano l'etichetta "back", anziché riportare l'utente alla pagina nella quale si trovava in precedenza (qualunque essa fosse, ivi compresa una pagina esterna al sito attuale, come per esempio quella di un motore di ricerca), lo trasportano in una pagina che rappresenta un "passo indietro" nella idealizzazione del percorso nel sito fatta da parte dell'autore: la pagina destinazione può essere di volta in volta quella gerarchicamente superiore nell'albero delle pagine del sito, oppure una pagina idealmente precedente in uno schema di lettura lineare o anche la pagina iniziale di una sezione. Ma in questi casi la intentio auctoris non sempre coincide con quella del navigatore, che spesso a causa di questa incomprensione delle strutture di navigazione prova quel senso di disorientamento che è tipico dell'esperienza del web.

Si tratta di un caso in cui l'autore non viene incontro alle necessità del lettore: un uso dell'etichetta "back" coerente con quello praticato dai browsers ed empiricamente noto a tutti gli utenti del web e una scelta accorta dell'etichetta da sostituire di volta in volta a "back" ove necessario (su, precedente, inizio, ...) sarebbero un aiuto di poco costo e di grande efficacia per la navigazione. È da notare come nei siti in lingua italiana l'etichetta usata più spesso in questi casi sia proprio "back" nella versione inglese, laddove ormai lo stesso pulsante "back" del browser ha un'etichetta in lingua italiana.

Una ricerca8 attualmente in corso presso il Dipartimento di Scienze della persona dell'Università di Bergamo sta delineando il panorama della diffusione di usi e abusi del puntatore back in siti web nel mondo anglosassone e in altre aree linguistiche; prendendo in considerazione varie centinaia di siti scritti in inglese e in altre lingue, si sta cercando di definire una mappa degli abusi semantici dell'uso del back.9

Un'interessante evidenza del lavoro consiste nell'emergere del fatto che l'etichetta "back" pare essere più diffusa in siti personali, più che in siti aziendali o accademici; e in questi ultimi, secondo una prospettiva diacronica, sembra essere in via di sparizione, risultando più diffusa nei siti improvvisati, meno in quelli più professionali, come a voler significare che l'etichetta "back" rappresenta una sorta di malattia dell'infanzia dei siti web, un esantema destinato a scomparire al maturare della consapevolezza progettuale.

Del resto, la realizzazione di siti web propone casi di questo genere; si può affermare che nei siti web l'ontogenesi ripete la filogenesi: così come la tecnologia web ha proposto prima i siti statici, poi quelli con interattività, poi le soluzioni di commercio elettronico; così spesso il sito di un'azienda passa da una prima fase di pura presenza sul web con un sito vetrina, più segnale di esistenza e di volontà di mostrarsi tecnologicamente alla pari, che vero strumento di comunicazione; a una di più matura comunicazione sia direzionale, sia circolare con l'utente;10 a una, infine, di interattività spinta fino all'attuazione di vere e proprie transazioni commerciali complete via rete. L'abuso del "back", come degli anglicismi, delle animazioni e delle pagine vuote per lavori in corso sembra far parte delle malattie esantematiche del web, stadio infantile spesso necessario in vista della maturazione di una comunicazione adeguata.

Le frecce olandesi

Nelle rotonde stradali olandesi le frecce di solito indicano le direzioni a destra e sinistra, ma non dicono che località si incontrano andando diritti: si suppone che, se non si deve andare in direzione delle località indicate verso destra e verso sinistra, si debba per esclusione proseguire diritto. Ma chi guida sente spesso il bisogno di conferme, in quanto potrebbe essersi distratto a un precedente bivio ed essere sulla strada sbagliata. Allora succede che quando si passa per le rotonde si guarda in alto e di sbieco per vedere le frecce che sono orientate verso le strade che si intersecano, con grave pregiudizio della sicurezza di guida.

Le indicazioni di questo tipo esercitano una funzione che, riprendendo il modello di Jakobson,11 è puramente referenziale, laddove indicazioni che ribadissero la direzione attuale avrebbero una funzione fàtica, come quando al telefono ogni tanto si dice sì o si mugugna, per dare la sensazione all'interlocutore di non parlare nel vuoto – e viceversa, quando non si sente nulla si pensa che sia caduta la linea.

In maniera del tutto simile, nei sistemi di comunicazione telematica dovrebbero essere presenti, ma spesso non lo sono, artifici che diano all'utente la sensazione che qualcosa stia avvenendo, anche in occasioni di transazioni di lunga durata.

Vari studi12 nel corso di decenni hanno concorso a fissare una sorta di legge empirica relativa ai tempi di reazione dei sistemi di elaborazione delle informazioni:

In tutti i casi di ritardo, soprattutto quando esso si protragga oltre i 10 secondi, è stato mostrato come sia opportuno proporre all'utente un indicatore di avanzamento,14 possibilmente di tipo proporzionale o predittivo, ossia in grado di mostrare all'utente quale percentuale del lavoro è stata portata a termine o quanto tempo manca alla conclusione dell'attività. Così facendo, l'utente sa che l'attività non si è bloccata (funzione fàtica), sa quanto gli manca per completarla e, secondo Nielsen,15 l'attesa gli è resa meno gravosa.16

L'uso di indicatori di avanzamento, universalmente diffuso nella pratica informatica degli sviluppatori di sistemi operativi e software di base, è invece più raro nel caso dei programmi applicativi e in particolare nei sistemi di comunicazione su web, dove spesso un progettazione più attenta agli obiettivi e meno al contesto e agli utenti non mette in previsione i tempi di interazione, con esiti a volte paradossali, come verificato in progetti17 nei quali indicatori di avanzamento sono stati introdotti come sistemi per tenere aperta la connessione con un server oltre il suo time-out, ottenendo poi soltanto come effetto secondario e inizialmente non previsto di "tenere aperta" in questo modo anche la connessione con l'utente: in questo caso il beneficio per l'utente è un epifenomeno della soluzione di un problema tecnico e non il risultato di uno sforzo nella direzione dell'efficacia della comunicazione.

Non sono del resto lontani i tempi in cui i programmi di lettura delle news su Internet non ricordavano all'utente a quale messaggio di un certo newsgroup era arrivato nella precedente sessione d'uso ed era necessario che l'utente stesso mantenesse progressivamente traccia dell'avanzamento della lettura dei gruppi di suo interesse, appuntando per ciascuno di volta in volta il numero dell'ultimo messaggio consultato: non è difficile immaginare che uno sforzo sovrastrutturale di questo genere inducesse a rinunciare alla comunicazione, piuttosto che a continuarla.

Le frecce e il bersaglio

Su strade e autostrade italiane si incontra spesso il cartello che intima "Polizia stradale – Controllo elettronico della velocità". È molto raro che in corrispondenza di quel cartello ci sia anche l'indicazione della velocità limite in quel tratto di strada, né questa è sempre immediatamente deducibile dal contesto. Viene da chiedersi quale sia la funzione del cartello, se esso sia da intendersi come un'indicazione, un consiglio o una minaccia.

Facendo di nuovo riferimento al modello di Jakobson, si tratta di una comunicazione che ha funzione conativa, ma che è priva di funzione referenziale (o espressiva), in quanto non fornisce informazioni contestuali che indirizzino l'autista a stabilire quale velocità è indicata ad affrontare il percorso.

Usando la tassonomia di Searle18 lo si potrebbe definire un atto linguistico subdolamente direttivo, la cui forza allocutiva fa leva sul senso di colpa di chi legge. Il rischio è quello della frenata improvvisa, che mette in pericolo il veicolo e quelli che lo seguono; dunque, e di nuovo, un comportamento non precisamente conforme alle intenzioni dell'autore (se così si può dire), che con una maggiore attenzione al probabile comportamento dell'utenza potrebbe ottenere risultati meno perniciosi.

Nel mondo della comunicazione ipertestuale è frequente il caso in cui la funzione persuasiva dei messaggi, principalmente quelli contenuti nelle aree sensibili degli ipertesti,19 oscura quella informativa. Il caso del "Clicca qui" è noti a tutti; meno noti sono certi subdoli sistemi di induzione all'apertura di una pagina web tramite messaggi che portano a credere che la sicurezza del proprio elaboratore sia in pericolo, o addirittura tramite falsi pulsanti di chiusura, che fanno credere all'utente di essere sul punto di chiudere una finestra di pubblicità, mentre invece l'effetto risultante è quello di aprire proprio il messaggio che non si intendeva visualizzare.

È singolare rilevare come spesso le piccole finestre web pubblicitarie di richiamo, che ospitano collegamenti a pagine di dettaglio sui prodotti o servizi proposti, siano un'unica grande sede di collegamento; ovvero, in qualunque punto della finestra si clicchi con il puntatore, si attiva il collegamento alla pagina destinazione del collegamento ipertestuale. Al contrario, spesso i link delle comuni pagine web informative sono ospitati da stringhe di caratteri di modeste dimensioni (il "qui" di "Clicca qui") o da aree grafiche sensibili di limitata estensione (il cerchietto che identifica una città su una mappa), rendendo difficile all'utente l'operazione di puntamento.

In questo senso il "lato oscuro del web" sembra cogliere meglio quanto espresso da decenni dalla (troppo spesso disattesa) legge di Fitts;20 in termini matematici essa dice:

T = a + ß log2( d/p + 1 )

con:

T = tempo

d = distanza fra il dispositivo di puntamento e l'area da raggiungere

p = profondità dell'area misurata rispetto all'asse dello spostamento

a, ß = coefficienti ricavabili sperimentalmente a seconda delle situazioni

Esempio Legge di Fitts nel piano

Applicando la legge di Fitts al caso bidimensionale dell'uso del mouse sullo schermo, come illustrato in figura, la si può interpretare dicendo che il tempo necessario per centrare la sede di un collegamento ipertestuale è funzione, oltre che della posizione relativa del collegamento rispetto al punto di partenza del movimento del mouse, anche della dimensione della sede del link rispetto alla direzione del movimento. In parole povere, quanto più la stringa o il pulsante da ciccare sono "profondi" rispetto alla direzione del movimento, tanto più facilmente saranno centrati al primo colpo, senza bisogno di aggiustamenti di tiro e ulteriori movimenti del mouse.

Una relazione di per sé banale, una volta esplicitata, ma che molto spesso viene trascurata dai progettisti ipermediali, con indubbi svantaggi per i destinatari della comunicazione, con disagi ancora maggiori per i molti utenti disabili del web, ma anche per gli stessi emittenti, che rischiano di compromettere l'efficacia del messaggio a causa della sua scarsa "maneggevolezza".

Prolegomeni a ogni futura informatica che si voglia proporre come scienza della persona

Lo spunto per le considerazioni di questo scritto è offerto dalla necessità di riflettere su quale tipo di ricerca informatica sia opportuna in un dipartimento intitolato alle scienze della persona e in una facoltà di lettere; per restare nella metafora, quali siano le frecce (e i bersagli) a disposizione degli informatici che si trovino a operare in questi ambienti. Individuato per ragioni organizzative nella comunicazione ipermediale il settore d'elezione per questo tipo di contesto, uno spunto importante è offerto dal Gruppo di lavoro per la diffusione della cultura tecnico-scientifica, che in un recente Rapporto sulla diffusione della cultura tecnico-scientifica in Italia21 propone considerazioni imprescindibili per chiunque voglia occuparsi in maniera transdisciplinare di scienza e comunicazione.

Il rapporto sottolinea innanzitutto la necessità che in Italia si costituisca e consolidi una massa critica di cittadini scientificamente acculturati, tale da permettere l'edificazione di una società post-industriale.

In questa direzione è raccomandata una formazione interdisciplinare per gli specialisti di ogni settore produttivo, intesa come capacità di condurre efficaci negoziazioni cognitive con specialisti di altre discipline, in vista di specifici fini operativi, applicativi o produttivi. Per esempio, un gruppo di progetto che debba affrontare la progettazione o il ripristino di un'opera ingegneristica che abbia un significativo impatto sociale o ambientale richiede la cooperazione di esperti di vari settori (ingegneri, architetti, informatici, geologi, biologi, economisti, psicologi, comunicatori, storici dell'arte), la cui coordinazione richiede sforzi di mediazione non indifferenti;22 rispetto a imprese di questo genere gli attuali processi di formazione specialistica non attrezzano i potenziali esperti di un settore a comprendere quelli di settori anche prossimi, con inevitabili ripercussioni sul tasso di produttività di gruppi di lavoro interdisciplinari.

Il Gruppo di lavoro auspica una formazione interdisciplinare che costruisca "un ponte tra paradigmi tecnici e scientifici considerati di norma incommensurabili" e che necessita di ricerche specifiche transdisciplinari e di metodologie didattiche appropriate. Rispetto a questo obiettivo, le tecnologie multimediali vengono indicate come strumenti che possono svolgere un ruolo determinante nella didattica, con particolare rilievo nel caso della didattica a distanza.

Perché questo ruolo sia svolto al meglio, è necessario che la comunicazione multimediale avvenga nella maniera più efficace possibile, intendendo per comunicazione efficace un processo attraverso il quale il destinatario riesca a soddisfare i propri bisogni informativi e l'emittente riesca a trasmettere il significato che si prefiggeva. In questo senso l'efficacia è elemento caratterizzante dell'usabilità della comunicazione, in accordo con la definizione data dall'ISO,23 ed è perciò generalmente considerata parametro fondamentale per qualsivoglia modello di qualità della comunicazione.24

Prodursi in comunicazione usabile è un impegno non banale in un contesto come l'attuale, nel quale le competenze informatiche della platea degli utilizzatori del computer sono piuttosto limitate. In effetti, il problema dell'usabilità delle interfacce degli elaboratori nasce quando gli informatici cominciano a costruire programmi, sistemi informativi, strumenti di comunicazione che devono essere usati, oltre che da informatici o da specialisti di un certo campo applicativo, da utenti generici, indifferenziati e sconosciuti ai progettisti. Norman ricorda come il motto della Hewlett Packard dei primordi fosse "Realizza il design tenendo presente la persona che lavora al banco di prova accanto al tuo".25 Da allora l'utenza delle aziende informatiche si è ampliata tanto da divenire quasi inconoscibile e l'utente medio ha cessato di essere altrettanto esperto quanto il progettista; in parallelo a questo processo, il computer ha smesso di essere solo un calcolatore con dispositivi di comunicazione per fornire i risultati del calcolo ed è diventato anche e soprattutto un comunicatore con dispositivi di calcolo per elaborare le comunicazioni.

Nelle comunicazioni telematiche i protocolli di trasmissione fanno sì che gli elaboratori coinvolti nello scambio di messaggi iterino la trasmissione fino a consentire una ricezione corretta dei pacchetti trasmessi. Questa operazione è trasparente all'utente, nel senso che è svolta dai programmi in maniera che non richiede l'intervento umano. L'interpretazione dei messaggi da parte dell'utente, invece, richiede una negoziazione: tanto più è "trasparente" il messaggio, tanto più limitato è lo sforzo cognitivo richiesto al ricevente. Inoltre, per l'utente moderno dei sistemi informatici l'interazione tramite il computer è un processo fluido finché non si verifica una condizione di errore: gli errori comunicati da un elaboratore costituiscono una sorta di breakdown heideggeriano per l'utente, per cui improvvisamente egli non si trova più a usare un sistema di comunicazione trasparente (quale era l'impressione avuta fino all'errore), ma piuttosto si trova di fronte l'elaboratore in tutta la sua complessa macchinosità; quando gli utenti degli elaboratori erano solo gli informatici, avevano le competenze per risolvere il problema; nel mondo del web, l'utente qualunque non sa ridurre la macchinosità alla trasparenza.

Purtroppo, nonostante l'usabilità sia un concetto non nuovo, addirittura già presente in Heidegger, quando distingue fra usabilità e disponibilità, e nonostante il fervore di ricerche e pubblicazioni che hanno visto la luce negli ultimi anni, la qualità della comunicazione è sovente trascurata, oppure limitata a indagini sui destinatari basate unicamente su modalità di introspezione sperimentale asistematica che ben poco hanno di generalizzabile. Non sembra azzardato né offensivo affermare che ciò dipende anche dal fatto che il mondo della comunicazione vede spesso proporsi, nelle vesti dei comunicatori, soggetti che arrivano alla progettazione informatica e alla comunicazione multimediale senza aver attraversato un percorso formativo strutturato e adeguato; poiché la comunicazione multimediale è una tecnologia relativamente "facile" - nel senso che le barriere d'ingresso cognitive non sono paragonabili a quelle opposte da altre tecnologie informatiche - essa consente a progettisti a volte improvvisati di proporsi ad aziende ed enti come appetibili progettisti a basso prezzo. Per ovviare a questo problema, un approccio pedagogico adeguato potrebbe essere quello di rivolgere la formazione circa i temi della qualità della comunicazione non già o non solo ai futuri progettisti e implementatori dei sistemi informativi, ma anche a tutti coloro che si troveranno a essere futuri committenti o controllori dei sistemi stessi di comunicazione, in modo che dispongano delle competenze necessarie per discriminare per tempo quando una comunicazione è di qualità.

Rispetto alla ricerca della qualità della comunicazione multimediale è fondamentale uscire dalla logica incentrata sul soggetto (il "Chi siamo" dei siti web) per abbracciare quella dell'aver cura dell'Altro, intendendo come Altro dei processi di comunicazione multimediale non soltanto il destinatario della comunicazione, come predicato dai moderni propugnatori dell'usabilità, ma anche chi è destinato nel tempo a procedere all'aggiornamento e alla manutenzione dei sistemi di comunicazione multimediale, tenendo dunque lo sguardo rivolto non solo verso l'usabilità, ma anche verso altre caratteristiche interne della qualità in uso26 della comunicazione, quali la manutenibilità e la portabilità. Tutto ciò sottintende una fondamentale scelta di campo, quella di applicare ai processi di comunicazione multimediale le modalità di misura della qualità studiate per il software.

Rivolgere la propria attenzione al destinatario significa ricordare costantemente, in ogni fase del processo di comunicazione, che emittente e destinatario devono condividere un codice di comunicazione, ma anche che la comunicazione avviene in un (im)preciso contesto, definito anche dalle competenze del destinatario. Usando una terminologia bachtiniana si potrebbe dire che il senso di un enunciato - un'indicazione stradale o una pagina web - emerge dall'interazione fra il piano dell'ambivalenza, dove il senso dell'enunciato è funzione delle conoscenze pregresse dell'emittente, e il piano della dialogicità, dove il senso è funzione delle conoscenze pregresse del destinatario.27 L'intersezione dei due piani avviene in uno spazio dove si individua una terza dimensione, quella del contesto nel quale ha luogo la comunicazione. Lo stesso concetto è espresso in altri termini da Gadamer28 quando nega che il significato coincida con l'intentio auctoris e sostiene che il significato di un testo va sempre oltre il suo autore29 e che l'interpretazione nasce dall'interagire dell'orizzonte del testo e dell'orizzonte che del testo dà chi lo interpreta. In maniera simile, pur in un contesto scientifico affatto diverso, Schramm30 afferma che i campi di esperienza degli attori della comunicazione definiscono entro quali limiti i significati dei codici sono uguali per entrambi. Quanto più i campi di esperienza sono sovrapposti, tanto più la comunicazione sarà efficace.

È dunque del contesto nel quale avviene la comunicazione e delle conoscenze del destinatario che ogni emittente deve tenere conto. Il primo passo sarà perciò quello di immaginare un lettore di riferimento,31 un Lettore Modello, rispetto al quale creare enunciati che massimizzino l'interazione dialogica. Ma a ciò si deve aggiungere l'ipotesi di un lettore empirico, da ottenersi con gli strumenti di indagine che ci sono forniti da una parte dall'etnografia e dall'altra dagli studi di usabilità. Si attiverà in questo modo una forma d'ascolto quale prefigurata dalle opere di Maturana,32 nel momento in cui egli sottolinea come il linguaggio abbia il compito fondamentale di creare un dominio consensuale di comportamento tra gli attori della comunicazione attraverso interazioni cooperative. Il ruolo dell'ascolto enfatizzato da Maturana, che riprende l'idea di osservatore di von Foerster33 e in qualche misura il Miteinandersein heideggeriano,34 essere-insieme con gli altri in una relazione di reciprocità, all'opposto del dis-inter-esse, anticipano lo user centred design35 dei giorni nostri, una tecnica che prevede di considerare l'utente come cuore del progetto e di renderlo addirittura partecipe alle varie fasi dello sviluppo del progetto, per esempio con test preliminari di usabilità.

Uno strumento come quello dei test, pur riconosciuto per la sua valenza, è spesso accusato di essere oneroso e non applicabile se non in casi particolari. D'altronde, se si vuole raccogliere la sfida della complessità proposta dallo sviluppo della tecnologia, non si può, come ci ricorda Maragliano, esorcizzarla con l'illusione di usare criteri semplificativi, ma bisogna affrontarla con paradigmi e strumenti adeguati.36 Nel modesto caso dei test di usabilità, oltretutto, valutazioni empiriche hanno mostrato come un test con soli cinque utenti basti per evidenziare l'85% dei problemi di usabilità di un sito web.37

Rispetto all'uso, invece, delle indagini etnografiche, andrebbe notato come esse siano attualmente impiegate per lo più per tentare di conoscere i potenziali destinatari della comunicazione o in relazione a media di più antica tradizione rispetto a quella della comunicazione ipermediale,38 laddove esse potrebbero in futuro venire utilmente estese per cercare di conoscere meglio i processi di gestazione, generazione e manutenzione della comunicazione stessa, per tener conto di chi sarà impegnato in futuro a mantenere attivi i sistemi di comunicazione multimediale.

Naturalmente non sarà possibile avere una comunicazione "buona per tutti", che tenga conto di tutti, che si adatti a tutti; come diceva don Milani, "non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali",39 ma ciò non toglie che non si debba prestare attenzione alle modalità di comunicazione, perché si possa raggiungere efficacemente il maggior numero di soggetti possibile. Riprendendo Gadamer, non possiamo pretendere di integrarci così tanto con l'ascoltatore da riuscire a parlare una stessa lingua. Ma certamente l'atteggiamento di ascolto, preliminare all'identificazione dell'interlocutore, introduce in una dimensione di disponibilità verso l'altro e di responsabilità intersoggettiva che è il fondamento per ogni successiva comunicazione efficace.

Ciò vale per comunicazioni di ogni tipo: se è difficile accettare un dis-inter-esse rispetto ai destinatari della comunicazione pubblica da parte di una Pubblica Amministrazione che posiziona le indicazioni stradali senza pensare ai problemi dei cittadini, da un punto di vista molto diverso è altrettanto impensabile accettarlo da parte di un attore del mondo economico che voglia attrarre consumatori tramite le proprie pagine web.

L'attenzione per l'Altro nella comunicazione multimediale trova un primario campo di applicazione (e di ricerca) nella cosiddetta comunicazione accessibile, ossia quella forma di comunicazione pensata per essere utile alle persone con varie capacità, a cominciare dai disabili. La tradizione batesoniana ci insegna che l'informazione è una differenza che produce una differenza;40 nel mondo del web si può aggiungere che l'informazione accessibile è una differenza che annulla una differenza: rendendo accessibile una pagina web, si annulla la distanza fra l'abile e il disabile; permettendo a un cieco di ascoltare il contenuto di una pagina web tramite uno screen reader, si annichilisce la differenza fra lui e il vedente; permettendo a un disabile motorio di stamparsi tramite il web un certificato, si scavalcano tutte le barriere architettoniche che, nel mondo reale, lo separano dallo sportello che emette quel certificato. Anche rispetto al tema dell'accessibilità si esprimono riserve da parte di chi sostiene che adeguare la comunicazione telematica alle necessità dei disabili implica costi. Ma anche qui, a detta di molti, l'impegno è davvero poco in funzione del risultato che se ne può ottenere, in special modo se la comunicazione è progettata sin dall'inizio per essere accessibile.41 Anche in questo caso, dunque, formare i comunicatori rispetto alle necessità dell'utente, prima ancora che dal punto di vista tecnico, significa agire per una comunicazione di qualità; oltretutto, un impegno di questo genere può consentire di trasformare i vincoli in risorsa, in quanto è frequentemente verificato che un sito web accessibile per i disabili risulta più usabile per tutti, così come la porta più larga per far passare la carrozzina del disabile è più comoda anche per chi cammina con le proprie gambe.

Lo user centred design, di cui già si è detto, e la progettazione universale,42 con il suo impegno per ottimizzare la qualità del design e il numero di persone che lo possano trovare utile, sembrano gli strumenti d'elezione per chi si voglia impegnare nella ricerca della qualità della comunicazione. Ma la natura stessa dei supporti digitali usati nella comunicazione suggerisce, se non impone, la conoscenza e il riuso dell'esperienza altrui, delle buone pratiche di progettazione, dei design patterns:43 troppo spesso i progettisti multimediali sprecano tempo e risorse nel ri-progettare malamente, per esempio creando nuove modalità di interazione, come pulsanti, barre di scorrimento e simili, senza tener conto dei molteplici aspetti percettivi e cognitivi che una simile progettazione coinvolge e senza, soprattutto, ricorrere invece all'esperienza maturata dalla comunità informatica44 in decenni di prove ed errori. Ciò non significa limitare la creatività, come qualcuno vorrebbe sostenere, ma significa semplicemente evitare di reinventare ogni volta l'acqua calda, quando la soluzione è già disponibile.

Per concludere, l'obiettivo indicato inizialmente di proporre una ricerca e una didattica adatte al mondo della comunicazione multimediale può essere raggiunto coniugando l'attenzione per l'Altro con la perizia tecnica, con un atteggiamento inteso a ottenere progettisti che siano evangelicamente "puri come colombe e astuti come serpenti".45 Essi dovrebbero dunque unire la virtù della colombitudine, l'attenzione all'altro in termini lévinasiani,46 come primato del bene, a quella della serpenticità, legata alle capacità tecniche. Non sempre, purtroppo, è così e nel panorama attuale della comunicazione multimediale, come illustrato sinteticamente nel grafico, si incontrano spesso approcci naif, dove molta buona volontà è accompagnata da poca sapienza tecnica e accortezza; oppure molto tecnici, dove il primato della qualità tecnologica intrinseca non lascia spazio a considerazione per l'utenza; coniugare nei comunicatori l'esprit de geometrie con l'esprit de finesse dovrebbe invece essere l'obiettivo formativo per chi cerca di sposare la ricerca informatica con le scienze della persona.

Marco Lazzari, grafico di colombitudine e serpenticità

Note

1 Umberto Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milano, 1979.

2 La parte sbagliata rispetto alle intenzioni del viaggiatore.

3 L’interfaccia uomo macchina è quello strato dei sistemi informatici che permette la comunicazione fra l’utente e il sistema informatico. Interfaccia uomo macchina è la versione italiana del termine inglese “man machine interface”; in tempi “politically correct” il termine è stato sostituito da “human computer interface”; in un dipartimento di Scienze della persona si dovrebbe probabilmente adottare il calco “interfaccia persona macchina”, che però nel gergo degli informatici italiani non trova riscontro.

4 Attivazione di un collegamento o inizio di una sessione di lavoro previa procedura di identificazione dell’utente.

5 Jakob Nielsen, Homepage usability, Apogeo, Milano, 2002.

6 La ridondanza è uno dei concetti chiave intorno a cui si è sviluppata la tecnologia di Internet, sin dai tempi in cui Baran individuò la rete decentralizzata – e la conseguente molteplicità di cammini fra un nodo e l’altro della rete - come il sistema adeguato alla “comunicazione a prova di bomba” che le forze armate americane richiedevano negli anni sessanta all’industria informatica (Paul Baran, Introduction to distributed communication networks, Memorandum RM-320-PR, Rand Corporation, Santa Monica, USA, 1964).

7 Programma di navigazione fra le pagine web (per esempio Internet Explorer, Netscape, Opera, Mozilla, Firefox, Safari, Camino, Avant).

8 Marco Lazzari, Daniela Iovino, “Back to the future, back to home, back to mom: use and abuse of the back button on English and non English web sites”, Proceedings of the 11th Human Computer Interface International Conference, Las Vegas, USA, 2005.

9 Nel corso del 2004 sono stati analizzati siti scritti in francese, inglese, italiano, russo, spagnolo, tedesco, ungherese.

10 Giulio Lughi, Parole on line, Guerini, Milano, 2001.

11 Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966.

12 Robert B. Miller, “Response time in man-computer conversational transactions”, Proceedings of the AFIPS Fall Joint Computer Conference, Vol. 33, AFIPS Press, Montvale, USA, 1968; Stuart K. Card, George G. Robertson, Jock D. Mackinlay, “The information visualizer: An information workspace”, Proceedings of the ACM Conference on Human Factors in Computing Systems, New Orleans, USA, 1991.

13 Nina Bhatti, Anna Bouch, Allan Kuchinsky, “Integrating User-Perceived Quality into Web Server Design”, Proceedings of the 9th International World Wide Web Conference, Amsterdam, Paesi Bassi, 2000.

14 Brad A.Myers, “The importance of percent-done progress indicators for computer-human interfaces”, Proceedings of the ACM Conference on Human Factors in Computing Systems, San Francisco, USA, 1985.

15 Jakob Nielsen, Usability engineering, Morgan Kaufmann, San Francisco, USA, 1994.

16 Ritornando alla metafora stradale, se un’indicazione mi dice che andando diritto arrivo in 50 chilometri ad Amsterdam, vengo confermato nell’idea che sto effettivamente andando dove volevo, so quanto mi manca ed evito di allungare il collo per verificare le indicazioni proposte al flusso di traffico che proviene dalla mia destra.

17 Paolo Salvaneschi, Marco Lazzari, “Weak information systems for technical data management”, Worldwide ECCE Symposium on Computers in the Practice of Building and Civil Engineering, Lahti, Finlandia, 1997.

18 John R. Searle, Expression and meaning: studies in speech acts, Cambridge University Press, Cambridge, UK, 1979.

19 Le sedi dei collegamenti ipertestuali.

20 Paul M. Fitts, “The information capacity of the human motor system in controlling the amplitude of movement”, Journal of Experimental Psychology, 47(6), 1954.

21 Paolo Galluzzi (a cura di), Rapporto sulla diffusione della cultura tecnico-scientifica in Italia, Gruppo di lavoro per la diffusione della cultura tecnico-scientifica (Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica), Roma, 1998.

22 Paolo Salvaneschi, Marco Lazzari, “Integrating databases, data communication and artificial intelligence for applications in systems monitoring and safety problems”, in Cornelius T. Leondes (a cura di), Database and data communication network systems, Academic Press, San Diego, USA, 2002.

23 ISO, ISO 9241-11 - Ergonomic requirements for office work with visual display terminals (VDTs) - Part 11: Guidance on usability, International Organization for Standardization, 1998.

24 Jakob Nielsen, Web usability, Apogeo, Milano, 2000; Roberto Polillo, Il check up dei siti web, Apogeo, Milano, 2004, Michele Visciola, L’usabilità dei siti web, Apogeo, Milano, 2000.

25 Donald A. Norman, Emotional design, Apogeo, Milano, 2004.

26 ISO, ISO 9126 - Software product evaluation - Quality characteristics and guidelines for their use, International Organization for Standardization, 1991.

27 Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino, 1968.

28 Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983.

29 Come osserva Burhanettin Tatar (Interpretation and the problem of the intention of the author: H.-G. Gadamer vs E.D. Hirsh, The Council for research in Values and Philosophies, Washington, USA, 1998), Gadamer in realtà restringe il dominio di questa affermazione alla parola scritta, considerando altrimenti la conversazione orale, ma ai fini di questo lavoro la restrizione è propria.

30 Wilbur Schramm, “Procedures and effects of mass communication”, in N.B. Henry (a cura di), Mass media and education, part II, University of Chicago Press, Chicago, IL, USA, 1954.

31 Tzvetan Todorov, Michail Bachtin: il principio dialogico, Einaudi, Torino, 1990.

32 Humberto R. Maturana, “Biology of language: the epistemology of reality”, in George A. Miller, Elizabeth Lenneberg (a cura di), Psychology and biology of language and thought, Academic Press, New York, USA, 1978.

33 Heinz von Foerster, Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma, 1987.

34 Martin Heidegger, Essere e tempo, UTET, Torino, 1986.

35 ISO, ISO CD 13407 - User centred design process for interactive systems, International Organization for Standardization, 1996.

36 Roberto Maragliano, Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza, Roma-Bari, 2ª ed., 1999.

37 Jakob Nielsen, Thomas K. Landauer, “A mathematical model of the finding of usability problems”, Proceedings of ACM INTERCHI ’93, Amsterdam, Paesi Bassi, 1993.

38 Federico Boni, Etnografia dei media, Laterza, Roma-Bari, 2004.

39 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967.

40 Gregory Bateson, “Forma, sostanza e differenza”, in Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.

41 Patrizia Bertini, Marco Trevisan, Accessibilità e tecnologie, Pearson, Milano, 2003.

42 Alan Dix, Janet Finlay, Gregory D. Abowd, Russell Beale, Interazione uomo-macchina, McGraw-Hill, Milano, 2004; Molly F. Story, James L. Mueller, Ronald L. Mace, The universal design file: designing for people of all ages and abilities, The Center for Universal Design, North Carolina State University, USA, 1998.

43 Carl Myhill, “Get your product used in anger! (Before assuming you understand its requirements)”, Interactions, X, 3, 2003.

44 Dicendo comunità informatica si vuole intendere, in questo caso, l’insieme di specialisti di vari settori, dall’informatica vera e propria alla psicologia, dalla grafica all’ergonomia, dall’ingegneria elettronica alla sociologia, che hanno concorso nei decenni a individuare modalità di interazione uomo – macchina efficaci.

45 Vangelo di Matteo, 10, 16.

46 Emmanuel Lévinas, Tra noi, Jaca Book, Milano, 1998.

RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO

In questa pagina propongo la prima stesura di un contributo per il volume Scienze della persona, a cura di Giuseppe Bertagna.

© Marco Lazzari, 2005.


Il riferimento bibliografico è:
Marco Lazzari, "Le frecce di Basilea e le faretre degli informatici", in Giuseppe Bertagna (a cura di), Scienze della persona: perché, Rubbettino, 2006.

Trova questo libro sul sito della casa editrice.

Formato stampabile

L'articolo è disponibile anche in versione PDF (218 KB).

Da ascoltare

Su Pluriversiradio ho archiviato alcune chiacchierate sullo stesso argomento:
- usabilità dei siti web;
- modelli di qualità dei siti web..

Valid XHTML 1.0 Strict


Marco Lazzari, Le frecce di Basilea e le faretre degli informatici, http://www.unibg.it/lazzari/doc/le_frecce_di_basilea_e_le_faretre_degli_informatici.htm

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO - Via Salvecchio, 19 - 24129 Bergamo - Numero Verde: 800 014959 - numverde@unibg.it