La Poesia

La poesia di Rimbaud si scontra con i tradizionali legami logici, le categorie di tempo e di spazio, che da sempre avevano regolato la poesia.Cosa ha voluto comunicarci con la sua nuova poesia e le sue parole,ormai slegate dal loro comune compito di semplici mezzi di comunicazioni e grazie a lui divenute immagini evocate ed evocanti? Il poeta si fa portatore,consapevolmente o meno, di una nuova letteratura, che completa alcuni processi che già Baudelaire aveva iniziato.

Al contrario di tanti suoi contemporanei, però, è utilizzare la forma prosastica per descrivere al presente, così come la vive, l’esperienza della visione e del delirio, con forme eterodimensionali di difficile lettura. Istituisce l’arte dell’immediato visionario, in cui persino la logica consequenziale appare debole, mettendo a volte in forte disagio il lettore che non riesce immediatamente a leggerne i contenuti e il messaggio. E' tutto un susseguirsi di folgorazioni d’immagini fotogrammiche, l’una slegata dall’altra, così come vengono percepite dal cervello, con i suoi pensieri sconnessi e l’idea di un mondo surreale e impossibile.

E' proprio l’indipendenza delle immagini che caratterizza il suo stile, è l'uso di parole che riescono a comunicare indipendentemente dal loro legame con i verbi o gli aggettivi e che si caricano di una molteplicità infinita di significati. Tra le sue righe si può percepire il rifiuto di una logica di lettura semplice e immediata ,la ricerca di una artificiosità per rimanere sempre ambiguo in ogni sua immagine o impressione,facendole fluttuare indipendenti come le parole che le descrivono. A rincarare ancor di più la dose del suo astio nei confronti del lettore, vi è la straordinaria capacità di schernirlo, come ad esempio in Parata dove conclude recitando:
Solo io possiedo la chiave di questa parata selvaggia.

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Rimbaud

Acune poesie:
Il battello ebbro
L'orgia parigina
La preghiera della sera
Il male
Memoria
Vocali
Lacrima
Il fabbro
Canzone della più alta torre
Sensazione

Poemi in versi

il battello immaginato da Rimbaud
IL BATTELLO EBBRO

Mentre discendevo lungo Fiumi impassibili, sentii che i bardotti non mi guidavano più: dei Pellirossa urlanti li avevan presi per bersagli inchiodandoli nudi ai pali variopinti.
Trasportavo grano fiammingo o cotone inglese, e non mi importava di avere un equipaggio. Quando, insieme ai bardotti, si spensero i clamori, i Fiumi mi lasciarono scendere dove volevo.
Fra i rantoli furiosi delle maree, l'inverno scorso, più sordo della mente di un bambino, io corsi! E le Penisole galleggianti non subirono mai gazzarre più trionfali.
La tempesta ha benedetto i miei risvegli in mare. Più leggero di un turacciolo ho danzato sui flutti, che sempre sospingono i corpi delle vittime, per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio ebete dei fari!
Più dolce che ai fanciulli la polpa di mele acerbe, l'acqua verde s'infiltrò nel mio guscio di abete e mi lavò dalle macchie di vino bluastro e di vomito, disperdendo timone e rampini.
E da allora mi sono immerso nel Poema del Mare, lattescente infuso d'astri, divorando le acque verde-azzurro su cui, fluttuando livido ed estatico, un annegato pensoso talora discende;
e, tingendo all'improvviso il blu del mare, deliri e ritmi lenti, sotto il vivo splendore del giorno, più forti dell'alcool, più vasti delle lire, fermentano i rossori amari dell'amore!
Conosco i cieli che scoppiano nei lampi e le trombe e i riflussi e le correnti: conosco la sera e l'Alba che si esalta come uno stormo di colombe, e qualche volta ho visto ciò che l'uomo ha creduto di vedere!
Ho visto il sole basso, maculato di mistici orrori, illuminare lunghi coaguli violacei, e, simili a degli attori di drammi molto antichi, i flutti che rotolavano in lontananza i loro fremiti di persiana!
Ho sognato le notti verdi dalle nevi abbagliate; bacio che lentamente sale agli occhi degli oceani, le correnti di linfe sconosciute, e il risveglio giallo e blu dei fosfori canori!
Ho seguito, per mesi interi, i marosi che assaltano gli scogli come mandrie di vacche isteriche, senza pensare che i piedi luminosi delle Marie potessero forzare i musi degli Oceani affannosi!
Mi sono imbattuto in Floride incredibili in cui i fiori si mescolavano ad occhi di pantere dalla pelle umana, e in arcobaleni tesi come redini di armenti azzurri, sotto l'orizzonte dei mari!
Ho visto fermentare le paludi enormi, masse dove imputridisce fra i giunchi un Leviatano, frane d'acqua in mezzo alle bonacce e le lontananze che si precipitano verso gli abissi!
Ghiacciai, soli d'argento, onde madreperlacee, cieli di fuoco! Orridi incagli sul fondo di golfi tenebrosi dove i serpenti giganteschi, divorati dalle cimici, cadono da piante contorte con neri profumi!
Avrei voluto mostrare a dei bambini quelle orate fra le onde blu, quei pesci d'oro, quei pesci canori. - Schiume di fiori mi hanno cullato mentre salpavo ed ineffabili venti a tratti mi hanno messo le ali.
A volte, martire affaticato dai poli e dalle zone il mare il cui singhiozzo addolciva i mio rullio,, alzava verso di me i suoi fiori d'ombra dalle ventose gialle ed io restavo come una donna in ginocchio...
quasi isola, sballottando sulle mie sponde le dispute e lo sterco di uccelli schiamazzanti dagli occhi biondi. Ed io vogavo, mentre attraverso i miei fragili legami, degli annegati, a ritroso, scendevano a dormire!
Ora io, battello sperduto fra i capelli delle baie, scagliato dall'uragano nell'aria senza uccelli, io, di cui né i guardacoste, né i velieri anseatici avrebbero ripescato la carcassa ubriaca d'acqua;
libero, fumante, sormontato da nebbie violacee. io che foravo il cielo rossastro come un muro che porti licheni di soli e catarri d'azzurro, squisita marmellata per i grandi poeti;
io che correvo, macchiato di lunule elettriche, zattera folle, scortata da neri ippocampi, quando luglio faceva crollare a randellate i cieli ultramarini dai vortici infuocati;
io che tremavo, sentendo gemere a cinquanta leghe i Behemot in amore e i densi Maeltrom, filando eternamente sull'acqua azzurra e immobile, io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi!
Ho visto arcipelaghi siderali ed isole i cui cieli deliranti sono aperti al vogatore: E' in queste notti senza fondo che tu dormi ed esuli, stuolo d'uccelli d'oro, o Vigore futuro?
Ma. davvero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti. Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro: L'acre amore mi ha gonfiato di torpori inebrianti. Oh, che la mia chiglia scoppi! Che io vada in fondo al mare!
Se io desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera nera e fredda in cui, nel crepuscolo profumato, un bambino malinconico, in ginocchio, lascia andare una barchetta leggera come una farfalla di maggio.
Io non posso più, onde, bagnato dai vostri languori, seguir la scia dei portatori di cotone, né attraversare l'orgoglio delle bandiere e delle fiamme, né navigare sotto gli occhi orrendi delle chiatte.

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L'ORGIA PARIGINA
la società parigina Eccola, o vili! Invadere le stazioni! Era il sole che asciugava col polmone ardente i viali riempiti dai Barbari, una sera. Ecco la città Santa, seduta a occidente!
Sú! domeranno i flussi d' incendio. Gli scali eccoli, ecco le case ed ecco qui i viali contro l' azzurrità che s' irradia leggera e le rosse bombe stellarono una sera!
Celate i morti palazzi in impalcature! Il vecchio giorno spento agli occhi dà frescure. Ecco la mandria fulva delle ancheggiatrici: siate folli, sarete buffi, essendo truci!
Mucchi di cagne in foia mangianti cataplasmi, il grido delle case d' oro vi ha chiamati. Volate! Mangiate! La notte lieta in spasmi fondi scende in strada. O bevitori desolati,
bevete! Se la luce pazza e intensa presto viene, frugandovi ai fianchi i lussi grondanti, non sbaverete forse, muti, senza un gesto, nei bicchieri, a occhi persi in bianchi lontananti?
Trincate alla Regina dalle chiappe cascanti! Udite agire i vostri singulti strazianti e sciocchi! Udite saltare in notti ardenti i lacchè, i pagliacci, gli asmatici dementi!
O cuori di sporcizia, bocche spaventose, qui funzionate più forte, bocche schifose! Un vino in tavola, agli ignobili torpori... La vergogna vi fonde il ventre, o Vincitori!
Aprite narici a superbie nauseanti! In forti veleni bagnate i vostri colli! Le mani in croce sul vostro capo d' infanti vi dice il poeta:" Vigliacchi, siate folli!
Perchè sul ventre della Donna razzolate, temete ancora una sua urlante convulsione, asfissiante le vostre infami nidiate sopra il suo petto, in un' orribile pressione.
Sifilitici, re, ventriloqui, pagliacci, dementi, che importa alla puttana Parigi dei vostri corpi, anime, veleni e stracci? Vi scrollerà di dosso, marci di litigi!
Quando a terra gemerete sulle frattaglie, sfiancati e spersi, chiedendo i vostri danari la rossa etéra, i seni gonfi di battaglie, su voi stupiti torcerà i suoi pugni avari!
Se il tuo piede nell' ira danzò fortemente, o Parigi! colpita da molti coltelli, se giaci, serbando nell' occhio trasparente qualche fulva bontà in cui ti rinnovelli,
O città dolorosa, O città quasi morta, il capo e i due seni protesi all' Avvenire che al tuo pallore apre la molteplice porta, tu che il passato oscuro potrà benedire:
corpo magnetizzato dalle enormi pene, dunque ribevi l' orrida vita! un livore di vermi ti senti fluire nelle vene, dita ghiacce frugare nel tuo chiaro amore!
Questo non è male. In te i vermi, i vermi lividi turberanno il soffio del Progresso non più delle Strigi spegnenti gli occhi di Cariatidi, ove pianti d' oro astrale dai gradi blu
cadevano ". Vederti oppressa m' impaura; ma benchè mai sia stata fatta di città più fetida piaga nella verde Natura, dice il Poeta:"è splendida la tua beltà!"
La bufera ti segnò suprema poesia; ti aiuta il moto immenso delle forze. Mia Città! la tua opera ferve, la morte romba. Riempi di stridi il cuore della sorda tromba.
Dai Dannati il Poeta prenderà il clamore, il pianto dagli Infami, l' odio dai Puniti; flagellerà le Donne il suo raggio d' amore, e le sue strofe balzeranno: Ecco! banditi!
- Tutto è risanato, o società: - i ritornelli delle orge rantolano nei vecchi bordelli; e i gas in delirio, contro i muri arrossati, ardono sinistri verso gli azzurri slavati.

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LA PREGHIERA DELLA SERA
Io, come un angelo seduto dal barbiere,
vivo stringendo uno scanalato bicchiere,
collo e ipogastrio curvi, una Gambier tra i denti,
sotto i cieli gonfi di vele trasparenti. 
In me mille sogni, come caldi escrementi di vecchia colombaia, fan dolci bruciature; e il mio tenero cuore è un alburno, a momenti, che il giovane oro insanguina di linfe oscure.
E, quando con cura ho ringoiato ogni sogno, mi volto, bevuti piú di trenta bicchieri, e mi raccolgo a mollare l' acre bisogno:
dolce come il Dio del cedro e degli issòpi, io piscio altissimo e lontano contro i neri cieli - approvato dai grandi eliotropi.

Manoscritto originale de
La preghiera della sera

monoscritto originale della Preghiera della sera

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IL MALE

Mentre ogni giorno i rossi sputi di mitraglia fischiano nell' infinito azzurro, e lí accanto al Re che irride, scarlatti o verdi, in battaglia i reggimenti al fuoco cadono di schianto;
mentre ne stritola un' orrenda paranoia centomila ammucchiandoli in fumanti resti, - Poveri morti, nell' erba estiva e la gioia tua, o Natura, che in santità li facesti! -
- Vi è un Dio che ride alle tovaglie damascate degli altari, all' incenso, all' oro dell' enorme calice, e cullato dagli osanna s' addorme
e si ridesta quando le madri, angosciate, lacrimanti sotto il vecchio nero berretto, gli danno un soldone legato al fazzoletto.

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MEMORIA
I.
Acqua chiara; sale di lacrime infantili, sole stretto dai bianchi corpi femminili; seta, in giglio puro, di affollate bandiere alle mura difese da pulzelle; fiere
d' angeli; - No ..... la corrente d' oro in cammino muove le braccia d' erba, nere, grevi e molli. Oscura, chiede il cielo blu per baldacchino e per velario l' ombra degli archi e dei colli.
II.
Uh! il vetro umido stende i suoi nodi sereni! L' acqua arreda i letti pronti d' auree veline. Le vesti verdi e stinte fanno di bambine salici, ove saltano uccelli senza freni.
Giallo e caldo ciglio, piú puro di un luigi, la ninfea - tua fede coniugale, o Sposa! - da opaco specchio, in svelto meriggio, la rosa e cara Sfera invidia ai cieli afosi e grigi.
III.
Madame sta troppo eretta nel prato vicino dove fioccano i fili del lavoro; ombrella in mano; calpesta la troppo fiera umbella. Fanciulli leggono un libro di marocchino
rosso nella verde fiorita! Come schiera d' angeli bianchi sulla via separati, ahi, Lui dilegua oltre i monti! Dopo i commiati dell' uomo, Lei corre infreddolita e nera.
IV.
Sode braccia rimpiante e fresche d' erbe pure! Lune in cuore al santo letto, auree primavere! Gioia dei cantieri a riva deserti, in sere d' agosto, preda di marce germinature!
Che ora essa pianga sotto i bastioni! Lassú la brezza sola alita nei pioppi. Lo specchio grigio è senza riflessi e senza fonte: su una barca immobile, draga e pena un vecchio.
V.
Io, giuoco di quest' occhio d' acqua funerea, non posso, o scafo immoto! oh! braccia corte! l'uno o l' altro fiore prendere; il giallo importuno, là; né l' azzurro, amico dell' acqua cinerea.
Ah! polvere dei salici che un' ala scuote! Rose dei canneti da tempo divorate! Il canotto è fermo; e le catene affondate in quest' occhio d' acqua infinita - a quali mote?

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VOCALI

Rimbaud visto da Luque A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, dirò un giorno le vostre nascite latenti: A, delle mosche neri pelosi corsali che ronzano sui crudi fetori, splendenti,
golfi d' ombra; E, candori di tende e vapori, lance di fieri ghiacciai, fremiti di umbelle, re bianchi; I, porpore, sputo di sangue, belle labbra ridenti a espiate ebbrezze o a furori;
U, cieli, di mari verdi divine fughe, pace di animali ai campi, pace di rughe che l' alchimia imprime all' ampio viso saggio;
O, suprema Tromba piena di stridi fondi, silenzi solcati dagli Angeli e dai Mondi: - O, l'Omega, dei Suoi Occhi il violaceo raggio!

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LACRIMA

LE PONT DE PONTOISE di Pissarro Lontano da uccelli, da greggi, da paesane, io bevevo, rannicchiato in una brughiera, cinta da una selva di noccioli leggera, in verdi e tepide foschie meridiane.
Che potevo bere in quella giovane Oisa, muti olmi, cielo coperto, erba senza fiori. Che spillavo alla mia fiasca di colocasia? Un liquore d' oro, insulso, che dà sudori.
Cattiva insegna d' osteria sarei stato. Poi il temporale mutò il cielo, fino a sera. Furon laghi, pertiche, stazioni, una nera regione, e nella notte blu fu un colonnato.
L' acqua dei boschi moriva alla verginale sabbia, e il vento, dal cielo, ghiacciava acquitrini..... Io, pescatore d' oro e di gusci marini, dire che non pensai di bere, come tale!

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IL FABBRO

LA FORGE di Louis Le Nain Col braccio sull' enorme martello, tremendo di furia e grandezza, vasta fronte, ridendo qual bronzea tromba,a bocca aperta,con lo sguardo feroce avvincendo quell' ammasso di lardo, il Fabbro parlava a Luigi Sedici, un giorno che il Popolo si contorceva a lui d' intorno, sui fregi d' oro strusciando la veste sporca. Pallido come un vinto portato alla forca, ora il buon re, dritto sulla pancia, era bianco, e mai recalcitrava come un cane stanco, poichè il fabbro, quel marrano di spalle immani, gli raccontava antiche verità e strani fatti, come pugni sulla fronte, ecco qua!
" Lo sai, Signore , cantavamo trallallà, verso i solchi degli altri pungolando i buoi: sgranava il Prete al sole in padrenostri i suoi rosari chiari di monete d' oro. Intorno passava a cavallo il Signore, a suon di corno, e chi con la sua corda, chi con lo scudiscio ci frustavano. - Ebeti come un occhio liscio di vacca, eravamo senza pianto; si andava avanti, e quando a campo arato,si lasciava un po' di carne nostra dentro quella nera terra... ci davano la ricompensa vera: bruciavano i nostri tuguri nelle notti, e, dentro, i nostri figli come dolci cotti.
..."Oh! io non mi lagno. Ma restino fra noi le mie sciocchezze. Puoi contraddirmi, se vuoi. Ora è una gioia vedere entrare, non pensi, il mese di giugno, ai granai i carri immensi di fieno? Sentir l' odore di ciò che muove, dell' erba rossastra, dell' orto quando piove? Veder biade e biade, spighe piene di grani, pensando che questo promette tanti pani?... Oh! andremmo al forno acceso più fortemente, battendo incudini e cantando lietamente, fossimo certi d' avere una parte (infine noi siamo uomini) delle cose divine! - Ma ecco, è sempre la vecchia solita storia!
"Io non posso piú credere, lo so a memoria, avendo mani buone, una fronte e un martello, che venga un uomo con la daga sul mantello a dirmi: Semina, ragazzo, la mia terra; e che si giunga poi, quando sarà la guerra, a prendermi cosí mio figlio, in casa! - Re tu saresti, e io dunque un uomo, e tu a me diresti: Voglio!... - Anche tu vedi, è cosa sciocca. Credi che ammiri la tua splendida bicocca, gli ufficiali dorati, i mille mascalzoni, bastardi poffarbacchi che fanno i pavoni? Ti hanno riempito il nido di odore di figlie nostre e biglietti per ficcarci alle Bastiglie, e diremo: Bene, i poveri ginocchioni! Il Louvre indoreremo coi nostri soldoni! E tu ti ubriacherai in una bella festa. - Rideran quei Signori, sedendoci in testa!
"No. Queste porcate han la data dei papà! Non è piú una puttana il popolo. Tre passi, e la tua Bastiglia è in cenere, ecco qua. La bestia sudava sangue da tutti i sassi e che schifo la Bastiglia in piedi, lebbrosa nei suoi muri che confessavano ogni cosa, tenendoci chiusi nella sua oscurità! -Cittadini! era il buio passato che là crollava in rantoli, presa la torre! In cuore noi sentivamo come un moto d' amore. Avevamo abbracciato al petto i nostri figli. Come cavalli in froge frementi che imbrigli, partimmo, fieri e forti, e palpitava qui... Camminavamo al sole, fronte alta,-cosí- per Parigi! la ressa ai nostri cenci unti. Ci sentivamo finalmente Uomini! Smunti ed ebbri, Sire, d' atroci trepidazioni: e quando giunti davanti ai neri torrioni, agitammo le trombe e le foglie d' allori, le picche in mano, in noi non c' erano rancori, - Ci sentivamo ardui, volevamo essere miti!
"E noi da quel giorno siamo come impazziti! Crescono monti d' operai nelle vie, e alle porte dei ricchi vanno quei dannati, folla che sale di sinistri trapassati. Con loro io corro ad accoppare le spie: e per Parigi, col martello in spalla, fosco e feroce, spazzo ad ogni angolo un losco; ti ucciderò se tu mi ridi in faccia! - Poi sta certo, ne farai tu le spese coi tuoi uomini neri, che delle nostre domande fanno palle da rimandarsi con le rande, e sottovoce, i furbi! dicono:" Che fessi!" per cuocer leggi, e bei decreti rosa messi in vasetti etichettati, e droghe composte, per divertirsi a propinarci nuove imposte, e poi turarsi il naso, se gli stiamo ai lati... - Ci trovan sporchi i nostri dolci delegati!- che nulla temono, se non le baionette..., basta con le loro tabacchiere a trombette! Bene. Siamo stufi di quei cervelli piatti, di quei cialtroni. Ah! son questi dunque i piatti che tu, borghese, servi a noi truci e feriali quando spezziamo già gli scettri e i pastorali!..."
Gli afferra il braccio, strappando le vellutate tende, e in basso gli mostra nel cortile grande la folla che brulica, brulica e s' espande, terrificante col fragore dell' ondate, come cagna e come mare urlante, coi duri bastoni e le picche di ferro, coi tamburi, con i suoi strepiti da fiera avvinazzati, neri stracci da berretti rossi insanguinati: dalla finestra aperta l' Uomo mostra tutto al re che, pallido e sudato, già distrutto barcolla a tale vista! "Sire, è la canaglia che sbava contro i muri, che cresce, che raglia: -Poichè non mangiano, Sire, son mendicanti! Io sono un fabbro: mia moglie è con quei tanti, pazza! Alle Tuileries crede di trovare il pane! -La scacciano dai panettieri come un cane. Ho tre bambini. Io sono una canaglia, un losco. -Vecchie piangono nella cuffia, le conosco, perché gli hanno rubato il ragazzo o la figlia: pure canaglie. -Un uomo stava alla Bastiglia, un altro era forzato: entrambi cittadini liberati, onesti, son lí come suini: li insultano! Così, qualcosa hanno nei petti che fa male, su! è terribile, è proprio il caso che a sentirsi spezzati, a sentirsi reietti, ora qui vi stiano urlando sotto il naso! Canaglia. - Là ci son ragazze disoneste perchè, - sapete, le donne han fragili tempre, - Signori cortigiani, - esse ci stanno sempre, - gli avete sputato sull' anima! Ecco, queste sono le belle vostre, adesso. Ecco la feccia.
"Oh! Gli sventurati con la schiena che sbreccia il sole feroce, tutti quelli che vanno, la fronte che scoppia in un lavoro d' affanno... Giú il cappello, miei borghesi! Oh! l' Uomo è questo! Siamo Operai, Sire! Operai! Abbiamo il gesto dei tempi nuovi e grandi in cui si vuol sapere, e l' Uomo forgerà dai mattini alle sere, di grandi effetti e grandi cause cacciatore, dominerà le cose, lento vincitore, su tutto montando come sopra un destriero! Oh! splendidi bagliori di fucine! Invero, più forza! - è atroce forse ciò che non sappiamo: ma sapremo! - Martello in mano, noi vagliamo tutto ciò che sappiamo: e poi, Fratelli, avanti! Facciamo a volte grandi sogni emozionanti di vita semplice, senza mai dire il male, lavorando in ardore al sorriso sacrale di una donna con nobile amore riamata: lavoreremmo fieri tutta la giornata, ascoltando il dovere qual tromba che suona: ci sentiremmo allora felici; e persona alcuna mai riuscirebbe a farci piegare! Ci sarebbe un fucile sopra il focolare...
"Oh! ma l' aria tutta ha un odore di battaglia. Che ti dicevo, dunque? Sono una canaglia! Restano ancora spie ed accaparratori. Siamo liberi, noi! Suscitiamo terrori che ci fanno più grandi, oh! cosí grandi! Or ora parlavo di quieto dovere, di dimora... Guarda il cielo! - Per noi è stretto come un occhio, crepando dal caldo noi vivremmo in ginocchio! Guarda dunque il cielo! - Io ritorno nella massa, nella grande feccia truce, Sire, che passa coi vecchi tuoi cannoni sugli acciottolati sporchi: - Oh! noi da morti, li avremo rilavati! - Se contro le vendette e i nostri gridi urlati, in Francia, le zampe dei vecchi re dorati spingon le loro truppe in veste di galà, ebbene, voi tutti? Merda a quei cani là !"
- Rimise il martello in spalla. La folla accanto a quell' uomo ebbra l' anima sentiva. Intanto in quegli appartamenti e nella grande corte ove Parigi ansava tra le grida, forte un fremito percorse l' immensa plebe. Nera e larga la mano del Fabbro, e di unto fiera, allora, benché sudasse il re obeso e scosso, tremenda, in faccia gli gettò il berretto rosso!

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CANZONE DELLA PIU' ALTA TORRE

Oziosa giovinezza a tutto asservita, per delicatezza ho perduto la vita. Ah, venga il tempo in cui i cuori s'innamorino!
Mi sono detto: lascia, e non ti si veda. e senza la promessa di gioie più alte. Nulla t'arresti, augusto ritiro.
Tante le pazienze che le ho scordate; ansie e sofferenze sono in cielo andate. la mia sete impura le vene mi oscura.
Così abbandonato all'oblio il prato fiorito e più immenso, di loglio e d'incenso nei fieri bordoni di sporchi mosconi.
O mille vedovanze del sì povero cuore, che ha soltanto l'immagine del Nostro Signore! si prega la pia Vergine Maria?
Oziosa giovinezza a tutto asservita, per delicatezza ho perduto la mia vita. Ah, venga il tempo in cui i cuori s'innamorino!
Maggio 1872.

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LA ROUTE AUX CYPRèS di Van Gogh
SENSAZIONE

Nei sentieri andrò,la sera estiva e celeste, punto dai grani,a pestar l'esile erbatura: sognante,ai piedi ne sentirò la frescura, lascerò il vento bagnarmi la nuda testa.
Non dirò una parola,non penserò più a niente: ma infinito mi salirà l'amore in fondo al petto, e andrò nella Natura vagabondo ben lontano,-come con donna lietamente.
Marzo1870.

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