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L'ultimo vero bacio
Dalla Postfazione "Un moralista senza morale"
a cura di Luca Conti
"Sono il figlio illegittimo di Raymond Chandler", ha detto Crumley in una delle sue battute più a effetto e, per questo, più citate. "Se lui non fosse mai esistito, i miei libri sarebbero completamente diversi. Lui batteva le strade buie di Los Angeles, io l'intrico di autostrade e superstrade che tagliano le montagne del West. Ciò che ci distingue, tuttavia, è soprattutto il diverso atteggiamento nei confronti della morale. A differenza di Chandler, io ho vissuto la guerra del Vietnam e i profondi cambiamenti che essa ha operato nella coscienza sociale degli Stati Uniti. E' per questo che i miei due investigatori non se la passano tanto bene, con la morale corrente, come invece succedeva a Philip Marlowe". Milodragovitch e Sughrue sono quindi, come suggerisce Robert E. Burkholder, dei "moralisti privi di morale", personaggi che vivono in un mondo corrotto e che sono costretti a sporcarsi le mani in prima persona per riuscire a distinguere il bene dal male, incapaci di svolgere le proprie indagini col distacco di chi sa di potersi ritirare in una torre d'avorio a contemplare le miserie umane.
A lettura ultimata, e per l'ennesima volta, scopriamo quindi che anche con "L'Ultimo vero bacio" il romanzo americano riflette su uno dei suoi temi più cari: la perdita dell'innocenza. In realtà la visione tragica di Crumley e la sua ispirazione dichiaratamente anarchica (ma un'anarchia molto all'americana, con forti tratti di individualismo, che si preoccupa soprattutto di mettere in evidenza che la vera lotta sociale è quella del singolo contro la burocrazia) finiscono per metterci in testa un tarlo non di poco conto: che questa beata e tanto strombazzata innocenza, in fondo, non sia mai esistita".
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