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di Paco Ignacio Taibo II
Quando nel 1990 trovandomi con molti altri scrittori per la fondazione dell'Aiep, associazione che riunisce gli autori di polizieschi di tutto il mondo, mi ero divertito a fare un'inchiesta. Domandavo a tutti: "Dov'eri e cosa facevi nel '68?". E così, citando alla rinfusa, mi ricordo che l'americano Roger Simon era nel Movimento dei diritti civili degli Stati Uniti, Jerome Charyn stava occupando l'università di Columbia a New York, il francese Jean-Patrick Manchette occupava invece la Sorbona, Manuel Vázquez Montalbán era chiuso nella chiesa di Montjuich protestando contro Franco, Juan Madrid nello sciopero dell'università di Madrid, io nel movimento studentesco messicano. E potrei andare avanti a lungo. In pratica era riunita tutta una generazione di scrittori che usciti dalle esperienze dei movimenti degli anni Sessanta, quando decise di mettersi a scrivere, scelse il poliziesco perché era il prolungamento naturale di quella maniera di discutere, di raccontare un delitto che molto spesso era di Stato. In un certo senso era anche quello che Leonardo Sciascia faceva già da anni in Italia. E questa generazione ha rinnovato il poliziesco, il giallo che si scrive ancora adesso. Per fare altri nomi gli americani Martin Cruz-Smith, Ross Thomas, Andrew Bergman, Marc Behm, James Crumley, Kinky Friedman, lo scozzese William McIllvanney, il francese Jean-Claude Izzo, l'inglese Derek Raymond, il brasiliano Rubem Fonseca, lo spagnolo Andreu Martin, l'italiana Laura Grimaldi, l'uruguayano Daniel Chavarría, l'argentino Rolo Díez, e, per citare qualcuno più giovane, Carlo Lucarelli o lo scozzese Ian Rankin. E molti molti altri. Era logico che questa generazione producesse una letteratura ipercritica, sociologica, piena di humour nero, diagonale nel senso che tagliava la società dal castello ai quartieri più miserabili. Lo stesso fenomeno che stava accadendo nel fumetto e che si era prodotto nei decenni precedenti nella fantascienza americana che era stata la grande riserva di pensiero critico e di utopia. Perché una generazione di scrittori sensibili socialmente si era mossa verso questi sottogeneri? Credo soprattutto perché al tempo stesso in cui facevamo una proposta politica ne stavamo facendo anche una culturale: la ribellione superando le divisioni e le differenze dei sottogeneri.
Da qui, dal superamento di questi confini nasce un detective di sinistra, più sensibile e contro il sistema. Un vero resistente.
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