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Il concetto di comunità è nato alla fine del diciannovesimo secolo e da allora è alla base di ogni studio sociologico.
Oggi usato in innumerevoli contesti, il suo senso a volte sfugge da qualsiasi definizione che voglia andare al di là del riferirsi alla comunità stessa come “un intreccio di relazioni sociali tenute assieme dalle circostanze più varie”1.
Se queste circostanze sono di natura casuale, si parla di comunità non intenzionale; se le relazioni instaurate avvengono sulla base di un obiettivo comune, essa è detta intenzionale.
Con l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione il concetto di comunità si arricchisce di un nuovo ambito dove inserirsi: proprio quel ciberspazio col quale abbiamo chiuso il paragrafo precedente.
La trasformazione del modo di concepire le reti telematiche, passate dall’essere strumenti di calcolo a veri e propri ambienti di comunicazione sociale; la metafora del ciberspazio e della rete in generale come luoghi virtuali di incontro che ricreano gli spazi comuni tradizionali della vita comunitaria quotidiana (l’agorà, la piazza dove si emerge la socialità delle persone); la radice etimologica comune delle parole “comunità” e “comunicazione”: tutto questo ci porta a introdurre la nozione-chiave di comunità virtuale. La sua definizione più fortunata è quella diffusa nel 1993 dallo scrittore statunitense Howard Rheingold:
le comunità virtuali sono aggregazioni sociali che emergono dalla rete quando un certo numero di persone porta avanti delle discussioni pubbliche sufficientemente a lungo, con un certo livello di emozioni umane, tanto da formare dei reticoli di relazioni sociali personali nel ciberspazio2.
Per arrivare fino a questo punto, però, si è dovuti passare attraverso le varie interpretazioni della parola “virtuale” nella storia.
In un contesto più ampio, infatti, essa si riferisce principalmente a un luogo immaginario: da questo punto di vista, il primo esempio di comunità virtuale risale a ben tre secoli e mezzo fa, quando i primi testi a divulgazione scientifica e letteraria erano capaci di aggregare i propri lettori sulla base di molteplici interessi o sentimenti comuni3.
Successivamente, sono i mezzi di comunicazione elettronici a favorire la formazione di nuove forme comunitarie virtuali: radio, cinema e televisione entrano in maniera dirompente nell’immaginario collettivo e, tramite l’utilizzo di certe rappresentazioni simboliche dotate di un forte potere attrattivo, creano i primi gruppi associativi dove il conoscere certe informazioni su un determinato tema (programma, film) rende l’utente un membro di un gruppo piuttosto che un altro.
Terza fase di sviluppo dell’idea di comunità virtuale è quella dagli anni Settanta a questa parte, dove il computer e le sue innumerevoli funzioni interattive sono il campo privilegiato di ogni tipo di aggregazione sociale basato sulla virtualità.
Il prototipo di una comunità virtuale di questo tipo nacque sull’allora Arpanet4, mentre la più conosciuta rimane una delle prime a essere creata, The Well. Attiva dal 1985, a essa aderiscono oggi quasi 80 mila persone pagando una quota d’iscrizione mensile e partecipando alle centinaia di conferenze, ognuna di tema diverso, che si tengono periodicamente sul suo sito5.
Infine, l’ulteriore evoluzione del ciberspazio, in ambienti che da testuali si fanno tridimensionali o multidimensionali, apre le porte ad una potenziale quarta fase che potrà svilupparsi negli anni a venire grazie al notevole apporto che le potranno dare prodotti multimediali sempre nuovi e all’avanguardia.
Concentrandosi sulla concezione attuale del termine così come lo descrive Rheingold, si possono delineare alcune caratteristiche che si ritrovano in ognuna di queste comunità in rete.
Innanzitutto, le persone che vi appartengono rimangono abbastanza stabili nel tempo, con l’aggiunta, a seconda del momento, di altri iscritti; queste stesse persone, inoltre, instaurano relazioni personali su vari livelli che vanno da una dimensione pubblica allo scambio di informazioni privato.
Importante è la condivisione di un medesimo linguaggio, così come il rispetto di determinate norme di rete e dei ruoli che vengono assegnati.
Infine, la pratica di rituali6 più o meno complessi all’interno del gruppo familiarizza ancor più i membri fra loro e delimita i confini entro cui la comunità stessa si muove.
Questi confini si possono tracciare solo dal punto di vista dei contenuti, ma non del campo d’azione: a livello fisico, infatti, in nessun caso le comunità virtuali fanno riferimento a un preciso territorio, in quanto esse coinvolgono persone distanti geograficamente fra loro che sviluppano legami in una Rete avente come proprietà basilare l'assenza di un inizio o una fine.
Il carattere spontaneo, l’occasionalità e la fluidità sono altri elementi caratterizzanti di queste “reti relazionali telematiche”7 e testimoniano una volta ancora l’ampio raggio di diffusione che esse hanno raggiunto dalla nascita della Rete all'attualità.
Si è in grado, inoltre, dividere le comunità virtuali in due grandi categorie a seconda delle loro caratteristiche comuni: si parla, in questo caso, di “forme di tecnosocialità fluttuante” e “associazioni”.
Le prime, meglio definite come tribù telematiche, esprimono più una necessità di socialità che una volontà di appartenenza al gruppo in questione: non dispongono di una struttura gerarchica, hanno generalmente un’impostazione ludica (chat e MUD ne sono due validi esempi) e i propri partecipanti cambiano continuamente.
Dall’altro lato, le associazioni si possono considerare veri gruppi organizzati con ruoli e regole ben definiti. Il senso d’appartenenza che esse sviluppano è molto forte e viene rinnovato continuamente dall’adesione a progetti comuni per i quali i membri dedicano la gran parte dei loro sforzi. Le liste di discussione ne sono il micromondo più rappresentativo.
Un’altra divisione ha luogo quando il termine di paragone è la motivazione con la quale si forma una particolare aggregazione in rete.
Distinguiamo, in questo caso, tre tipi differenti di comunità8.
Le prime riuniscono persone che si scambiano opinioni e idee su specifici temi d’interesse, svolgendo specifici compiti legati alla natura del particolare tema. Gruppi e liste di discussione appartengono a questo tipo di comunità virtuali.
Le seconde hanno la caratteristica di creare forti relazioni interpersonali, basandosi su quel bisogno innato di socialità di cui abbiamo parlato per le tribù telematiche. Le chat svolgono proprio questo compito.
Alle ultime appartengono persone, la maggior parte di un’età relativamente giovane, che sperimentano l’appartenenza ad un gruppo condividendo soprattutto esperienze ludiche (a carattere fantastico) di simulazione in rete, alle quali si fa spesso riferimento con il nome di “avventure grafiche”. MUD e MOO sono i micromondi rappresentativi di quest’ultimo tipo di comunità.
Il concetto di “comunità virtuale” presenta rischi di vario genere, essendo composto da due termini che, presi singolarmente, sono dalla loro nascita oggetto di discussione9, fraintendimento e, nei casi più gravi, strumentalizzazione.
Considerata sfuggevole in ogni studio sociologico, la nozione di comunità entra una fase di ulteriore smarrimento quando fa la sua comparsa la comunicazione di massa.
Entrando nella vita quotidiana di ogni essere umano, in molti casi le nuove tecnologie digitali veicolano la simulazione (da parte di chi controlla il mezzo comunicativo) di un interesse genuino e personale verso il destinatario avente invece come unico scopo l’influenzare i suoi comportamenti.
Si assiste alla nascita di pseudocomunità, chiamate in questo modo perché vengono meno al principio di spontaneità che è alla base dello sviluppo di una comunità propriamente detta.
La spinta alla creazione di queste comunità anomale fa parte di una strategia commerciale tout court, costantemente praticata da molte aziende soprattutto americane: il caso più eclatante e riuscito è quello di Geocities10.
Una volta riconosciuto e isolato, perlomeno a livello linguistico, il termine “pseudocomunità” come degenerazione di "comunità" (concetto di per sé positivo), i rischi sembrano aumentare quando ad esso affianchiamo l’aggettivo “virtuale”, soggetto a molteplici interpretazioni.
In prima analisi, il virtuale visto come un territorio intangibile e illusorio, non reggerebbe di fronte alla praticità della sua contrapposto, il reale. Al contrario, da un punto di vista più profondo, la relazione tra virtuale e reale avrebbe come prerogativa una relazione tanto complessa quanto paritetica, quindi non necessariamente di subordinazione dell’uno rispetto all’altro.
Come si può vedere, l’approccio alla nozione di virtualità rimane difficoltoso: per quanto riguarda la sua applicazione al concetto di “comunità”, la soluzione si trova nel fatto di considerare queste aggregazioni di persone in rete come vere e proprie
comunità, con tutti i problemi e le contraddizioni tipiche di questa forma sociale in una società complessa come quella contemporanea. […] L’aggiunta dell’aggettivo “virtuale” al sostantivo “comunità” é quindi anch’esso solo un artificio retorico provvisorio, utile a nominare fenomeni che sfuggono alle categorie sociologiche di cui disponiamo11.
La comunità virtuale, il più delle volte, è lo specchio della società complessa a cui si fa riferimento, e come tale, a volte può accentuarne i problemi e le contraddizioni.
Quando esse si formano esclusivamente per adesione a interessi comuni sembrerebbe elevato il rischio di frammentazione e autoisolamento, acutizzato dal fatto che i loro membri, nella maggioranza dei casi, non si conoscano direttamente.
In realtà può succedere proprio il contrario, con il risultato di un avvicinamento relativamente facile tra gruppi che in prima istanza tenderebbero a evitarsi. Questo aspetto lo vedremo meglio nel paragrafo seguente, parlando di “forza dei legami deboli”.
In generale, ricordare che l’appartenenza a una comunità virtuale è soprattutto un’esperienza sociale (come tale, basata su valori fondamentali quali rispetto, altruismo, solidarietà), rimane sicuramente il miglior modo per evitare tali rischi e dare a queste aggregazioni volontarie della Rete l’importanza che meritano.
1 Ibid., p. 125. Ritorno al testo
2 Howard Rheingold, Comunità virtuali, Sperling e Kupfer, Milano 1994, introd. L’edizione originale si può trovare anche on-line sul sito www.rheingold.com/vc/book/intro.html. Ritorno al testo
3 Si pensi ai feuillettons, romanzi sentimentali che dalla metà del diciassettesimo secolo in poi hanno appassionato e riunito migliaia di lettori di tutta l’Europa dell’epoca. Ritorno al testo
4 Consisteva in una bacheca elettronica dove vari ricercatori si scambiavano opinioni sulla serie televisiva Star Trek e sul mondo della fantascienza in generale. Cfr. G. Venturini, “Introduzione alle comunità Online, disponibile sul sito www.technojuice.net/onlinecom/comunit_online.pdf. Ritorno al testo
5 www.well.org.Ritorno al testo
6 Il rito, quello religioso in particolare, costituisce un elemento fondamentale del sentimento comunitario: non è la presenza fisica indispensabile al rito, piuttosto la condivisione e l’espressione del linguaggio, cosa che in rete può avvenire senza problemi. Ritorneremo a parlare dei riti religiosi in rete nel terzo capitolo, inserendoli nel contesto del Camino de Santiago. Ritorno al testo
7 Definizione formulata da Paolo Dell’Aquila nel suo saggio Tribù telematiche, Guaraldi, Rimini 1999. Lo stesso scrittore è autore della suddivisione in categorie con cui inizia il paragrafo successivo. Ritorno al testo
8 Cfr. Maurizio Cardaci, op. cit., p.28. Ritorno al testo
9 Si sono cimentati col tentativo di definire la nozione di comunità virtuale numerosi sociologi e filosofi; divisi dal dubbio se essa possa rappresentare a tutti gli effetti una comunità vera e propria: alcuni lo ritengono inammissibile, altri più che ragionevole. Ritorno al testo
10 Azienda pioniera di questo tipo di commercio in rete (e-commerce), Geocities offre gratuitamente ai suoi utenti alcuni servizi quali indirizzo e-mail, spazio per la creazione di pagine web, accesso privilegiato a liste di discussione e ad informazioni varie. Questi servizi vengono poi organizzati in zone tematiche, dette “quartieri”, che, ricevendo la sponsorizzazione di altri enti privati, assicurano all’azienda stessa un consistente profitto da aggiungere al ritorno dei propri investimenti. Ritorno al testo
11 Luciano Paccagnella, op. cit. , pp. 134-135. Ritorno al testo
Prosegue con: Tra on-line e off-line: la persona nella Rete.