I compagni detective

Il tutto in nome dell'ordine costituito, ma con valenze integraliste piuttosto settarie: il male è un'entità confusa che va combattuta con ostinazione; niente dibattiti, l'unica parola lecita viene sputata dalle armi da fuoco. A poco giovano le licenze in rosa del personaggio: anche i nazisti godevano di sontuosi festini privati tra una pulizia della razza e l'altra.

LONTANO DAL MONDO. Se Hammer rappresenta la manovalanza "spazzina" di una destra - speriamo - ormai archiviata, non si può prescindere da prototipi classicissimi che del loro snobistico individualismo hanno fatto un'arma di difesa dal contatto col popolino, eleggendosi a sani conservatori di un destino elitario e anche un tantino razzista. Racchiusi nelle loro torri investigative - la casa d'arenaria di Nero Wolfe, le comodità borghesi di Sherlock Holmes, la grettezza un po' bigotta un po' fascista di Miss Marple - alcuni dei più famosi investigatori si muovono in ambienti privilegiati ed esclusivi, in cui tutto ciò che rientra nel loro raggio d'azione è rappresentato dal fondale dell'indagine, con relativi burattini da manovrare. Nella perfetta superiorità mentale di questi personaggi-simbolo della detection, possiamo ritrovare gli schemi assolutisti di una certa borghesia che non avrà mai nulla da spartire coi moti di piazza degli studenti o i cortei degli operai in mobilità. Se la body-guard Hammer allontanerebbe a suon di cazzotti le folle schiamazzanti dal suo datore di lavoro Gianfranco Fini, i borghesotti del trio Wolfe-Holmes-Marple potrebbero veleggiare quietamente rifocillati e a loro agio sulla nave elettorale di Berlusconi.
Questi vecchi eroi appartengono a un'epoca in cui la dimensione popolare li escludeva a priori da un imbarbarimento dei contatti sociali: una loro eventuale superiorità intellettuale gratifica le folle, ma in quella elitaria capacità di "servire il popolo" con l'arma dell'arguzia risiede tutta una linea di valori poco altruisti, come accade ora in politica, quando in nome di una fantomatica giustizia etica e sociale si pianificano i propri interessi. Se da quelle parti transitasse il buon Maigret si sentirebbe a disagio, lui abituato alla cucina semplice della moglie, alla passeggiata per le vie del quartiere, alla Parigi ordinata e sommessa delle sue indagini: ma forse è solo una dimensione meno eclatante della sua appartenenza politica. Una sorta di piccola odissea borghese in grigio, con scarse motivazioni libertarie o rivoluzionarie nonostante il quotidiano contatto con i malesseri sociali. Consapevole dei valori da difendere, Jules Maigret rimarrebbe perplesso di fronte ai cambiamenti epocali che portano in casa linguaggi multietnici, e opterebbe per una destra federalista, ma senza confessarlo neppure a se stesso.


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